Caso Uva, ha ragione Manconi o il pm?

L'ex senatore sostiene che l'uomo morto due anni fa fu picchiato dalle forze dell'ordine la procura invece ha dato la colpa a due medici dell'ospedale per dei farmaci sbagliati

giuseppe uvaL’ex senatore Luigi Manconi sostiene che la morte di Giuseppe Uva, avvenuta a Varese tra il 14 e 15 giugno 2008, sia da imputarsi alle percosse subite nella caserma dei carabinieri di via Saffi. L’ex senatore chiede una commissione parlamentare di inchiesta e ha messo a disposizione della stampa una telefonata che quella notte, Alberto Bigiogero, l’amico fermato con Uva, fece dall’interno della caserma al 118: nella audio si sente il testimone chiamare un’ambulanza perché «stanno massacrando una persona». Successivamente, il medico chiamò i carabinieri che però rifiutarono l’intervento spiegando che «non è niente, ci sono qui due ubriachi».

La circostanza è vera ma le conclusioni a cui arriva Manconi – che è stato interessato al caso dal legale della famiglia Uva, Fabio Anselmo – sono differenti da quelle che la magistratura varesina ha tratto fino a questo momento. E cioè la richiesta di rinvio a giudizio per due medici dell’ospedale di Varese che hanno somministrato, dopo il ricovero, dei farmaci non compatibili con l’ubriachezza del paziente; un caso di colpa medica, dunque, e non un pestaggio.

L’antefatto della nuova esplosione mediatica del caso è questo. Giovedì scorso, l’avvocato Anselmo, ha incontrato i giornalisti, in uno studio di Varese. Il legale ha spiegato che ha appena preso in mano la vicenda, sollecitato da una sorella di Uva Giuseppe. E’ il terzo avvocato che si occupa della vicenda (già due legali sono stati ricusati). Anselmo aveva annunciato di aver visto il fascicolo e di avervi riscontrato «atti inquietanti» e di avre informato l’ex senatore Manconi, ma non ha potuto chiarire a che cosa si riferisse. Si è anche scusato, ma ha aggiunto che in questa fase non poteva dire altro, sottolineando di non aver mai parlato con il pm competente, la dottoressa Sara Arduini; un magistrato che tuttavia a Palazzo di giustizia ha la fama di ”dura”, tenace e scrupolosa.

Dopo la conferenza stampa a Varese dell’avvocato ferrarese, il Tg3, venerdì sera, ha rilanciato la vicenda. Non è la prima volta che i media se ne occupano. Alcuni mesi fa il blog di Beppe Grillo mandò in rete una intervista ad Alberto Bigiogero, l’amico che quella notte fu fermato in via Dandolo a Varese insieme a Giuseppe Uva, e che spiegò di aver sentito, attraversi i  muri, le urla dell’uomo mentre  lo «stavano massacrando». Beppe Grillo sostiene che Giuseppe Uva è una «vittima di stato». In tribunale, la famiglia ha chiesto mesi fa una nuova autopsia, citando un parere medico di parte che evidenziava la necessità di chiarire meglio la causa delle lesioni sul corpo della vittima.

Risultato: in questo momento, ci sono due distinti fascicoli in procura, il secondo è stato aperto dopo la richiesta di nuova autopsia ma il contenuto non è a conoscenza della parte offesa. Il primo, invece, è una chiusura di indagini con la richiesta di rinvio a giudizio per due medici dell’ospedale che è arrivato però a escludere il pestaggio da parte dei carabinieri.

Scrive il pm che il medico del pronto soccorso, quella sera, nonostante Uva fosse in stato di agitazione e desse chiari sintomi di assunzione di alcol, somministrò antispiscotici, sedativi e ansionlitici. Il medico del reparto di psichiatria ci aggiunse un’altra fiala di ansiolitico. La somministrazione di tali farmaci era controindicata e determinò la morte per insufficienza cardiorespiratoria e un susseguente edema polmonare. I pm (i primi interrogatori furono condotti dal dottor Agostino Abate) interrogarono anche i poliziotti e carabinieri che operarono quella sera. Uva e Bigiogero furono fermati perché ubriachi rovesciavano i cassonetti in via Dandolo. La versione di polizia e carabinieri è che l’uomo in caserma era in preda a una crisi, scappava dai militari e come impazzito sbatteva la testa contro i muri; e che l’azione delle forze dell’ordine fu di contenimento. La famiglia non ci crede ma l’inchiesta ha dato credito a questa versione. 

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Pubblicato il 20 Marzo 2010
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