Due guerre e un libro, i 100 anni di Carlo Scaramuzzi

Il segreto di una lunga vita raccontato dal decano del paese. “Al presidente Obama chiederei di costruire un mondo con più giustizia”

carlo scaramuzziHa fatto il barbiere, il sarto e il sacrestano, il meteorologo per hobby ed ha appena scritto un libro. Carlo Scaramuzzi è il nonno che tutti vorrebbero avere: ha compiuto 100 anni lo scorso aprile, e la sua vita trascorre da un secolo a Brinzio. Minuto, ma tenace, gli piace raccontare e ascoltare, ha gli occhi vivi. Con uno scatto si china a terra prima di tutti per raccogliere un foglio caduto, e al suo fianco c’è la moglie Maria, di 93 anni – “lei è ancora piccola”, dice – a cui regala mazzi di rose al mattino. Il loro matrimonio va avanti da 72 anni.
Ma chi è Carlo? Qual è il suo segreto di lunga vita e soprattutto, peché questo libro?
«Il primo ricordo della mia vita è un cappellino. Me lo portarono dopo la guerra di Libia, che scoppiò nel 1911 – racconta Carlo, seduto nella sua casa di via Vittorio Veneto – . Poi ricordo di tanto lavoro, gli amici, e la conoscenza di mia moglie. La notai perché abitava di fronte a casa mia, proprio una di quelle che si vedono ancora da qui: feci colpo su di lei con una bicicletta in regalo e corteggiandola dopo la messa, punto di ritrovo per chi viveva in paese».
Alle pareti sono appese targhe e foto, tra cui anche uno scatto che lo ritrae, novantenne, mentre carlo scaramuzziesegue una verticale tenendosi sulle braccia (a destra). Roba da non crederci. Eppure è tutto vero.
«Il segreto del mio benessere sta nell’alzarmi da tavola con un pochino ancora di appetito, un mezzo bicchiere di vino a pasto, e tanto movimento ogni giorno – racconta Carlo, che per decenni, e ancora oggi, appena sveglio misura la temperatura e l’eventuale neve per redigere veri e propri bollettini meteo». «Stare sempre con qualcosa da fare e non poltrire: il mio corpo deve portarsi in giro solo 50 chili, se pesassi di più sarebbe dura».
La passione per le storie, poi, ha fatto il resto. Tutta colpa del bisnonno, che imparò a scrivere da un prete del paese e gli lasciò un quaderno di memorie, andato però smarrito all’inizio degli anni ‘90.
«Così nel 1993, dopo la perdita di quelle memorie, mi venne in mente di riscriverle. Ogni domenica stendevo un racconto che portavo al sindaco e ad un amico». Quell’amico è Emilio Vanini, che per il centenario preparò a Carlo una bella sorpresa: contattò l’editore Macchione, e da qui nacque il libro.
Nel testo si parla di storie di pese, aneddoti, racconti senza tempo di una società rurale oramai sparita: donne con gli zoccoli, usati come scarpe e che venivano nascosti nei cespugli prima di prendere il tram per Varese; i portici e le corti del centro attraversati dai buoi, la canapa filata d’inverno nelle stalle, il duro lavoro nei boschi.
Carlo ne ha da raccontare, anche tra i suoi ricordi: prese in eredità la bottega del padre, dove ancora oggi vive, composta da due stanze: in una faceva il sarto, nell’altra il barbiere, con ancora la ‘sedia dei ricordi’: qui i clienti, per generazioni, confessavano vizi e virtù del paese. Poi le campane: «Per suonarle ci voleva classe, e i ragazzini facevano la fila e bisognava stare attenti, altrimenti c’era il rischio di far le ore sbagliate».
Come sono i suoi ricordi? «I miei ricordi sono tutti belli: il segreto sta nel saperli vivere».
E la guerra? «Quale? – risponde sorridendo. La Prima me la ricordo: il 4 novembre, giorno della carlo scaramuzzivittoria, c’era chi rideva e chi piangeva. Nelle osterie alle ragazze che non volevano brindare, veniva fatto scorrere il vino sul collo. La Seconda l’ho vissuta, e sono stato fortunato perché non ho visto il fronte: mi hanno congedato per via di uno stratagemma insegnatomi da mio fratello, e così l’ho fatta franca».
Poi l’8 settembre, e più tardi, la Liberazione. Come sono stati quei momenti?. «A Brinzio non ci furono problemi, non eravamo un paese fascista, tanto che da Varese volevano mandare qualche squadra a vedere come mai c’erano così pochi iscritti, ma ricordo che a Castello Cabiaglio alla fine della guerra bruciarono la Casa del fascio, ci furono violenze. Mi vennero a cercare per chiedermi di rasare a zero donne che stavano coi fascisti. Ma per fortuna non mi feci trovare».
E oggi? Come si vive? «Mi viene da dire ‘si stava meglio quando si stava peggio’ – risponde Carlo. Il perché sta nella tranquillità. Ieri non avevamo nulla, c’era anche la povertà, ma vivevamo in maniera più semplice. Adesso è diverso, non ci si accontenta».
Se si trovasse di fronte al presidente Obama, l’uomo più potente del pianeta, cosa farebbe?
«Gli chiederei più giustizia. Il mondo è diviso male, chi ha troppo e chi niente: l’uguaglianza non si trova, ma occorre andarci vicino il più possibile. E i problemi non possono risolversi con la guerra, perché così facendo non si arriva a nulla, si crea solo odio e vendetta».

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Pubblicato il 18 Giugno 2010
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