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“I sogni di Fadel si sono spenti in fondo al lago”

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28 Giugno 2010

Malgesso è un paese distrutto. La mamma di Fadel Yabre, Bambara, e il papà Harouna, sono disperati per la scomparsa del figlio diciassettenne, pochi mesi dopo la tragica morte del piccolo Mohamed, investito da un’auto mentre giocava davanti a casa. Il sindaco Luigi Franzetti è rientrato dalle ferie per stare vicino a quella famiglia di immigrati del Burkina Faso alla quale tutto il paese è molto legato: per il funerale tutta la comunità si mobiliterà per dare una mano agli Yabre, così come è successo lo scorso febbraio per Mohamed. Di seguito pubblichiamo la lettera di Domenico Squillace, dirigente scolastico dell’Isis di Gavirate, che ricorda Fadel e riflette sulla tragedia di una famiglia e di un’intera comunità.

Egregio direttore,
Ho passato più di un’ora, giovedì scorso a Caldè, a guardare l’acqua del lago che ha inghiottito Fadel Yabre, rinchiudendosi per sempre sui suoi sogni, sulle sue speranze, sulla sua ribellione di adolescente. Anch’io, come tanti, ho sperato fino all’ultimo in una bravata, in una fuga ben architettata, mi sembrava impossibile che tanta voglia di vivere si fosse spenta, mi sembrava inconcepibile ed inaudito che il destino avesse infierito con tanta ferocia su una famiglia, per la seconda volta in pochi mesi, con un accanimento degno di miglior causa. Ma non è stato così, come in tanti speravamo, la tragedia si è manifestata e consumata in tutta la sua infinita ingiustizia, in uno scenario da cartolina, in un luogo bellissimo e dolce.

Conoscevo abbastanza Fadel, che per quasi due anni ha frequentato la nostra scuola, l’Istituto Superiore Stein di Gavirate. L’anno scorso era inserito in una prima del Liceo, allo scopo di cominciare a familiarizzare con la nostra lingua (era appena arrivato dal Burkina Faso); quest’anno invece, insieme alla Scuola Media di Gavirate, avevamo costruito su di lui un progetto che doveva portarlo a conseguire la licenza media; è morto il giorno prima della prova orale.
Fadel non era un ragazzino facile, voleva tante cose, forse troppe e tutte in una volta; negli ultimi mesi, dopo la morte del fratellino di 10 anni, faceva fatica a nascondere la rabbia che lo segnava. Tante volte mi è toccato richiamarlo, ma ogni volta che gli parlavo non riuscivo a non scrutare in quei suoi occhi così profondi e ad immaginare la sua storia, così diversa da quella dei nostri ragazzi, non riuscivo a non pensare a noi, la scuola, come alla sua unica e più concreta possibilità di riscatto. Abbiamo creduto di poterlo aiutare, probabilmente ne eravamo convinti noi più di lui; a me ed a quanti hanno avuto la possibilità di conoscerlo mancherà tanto, mancheranno i suoi piccoli successi ed anche le arrabbiature che talvolta ci procurava.

In questo momento penso ai suoi genitori, arrivati da una terra lontanissima per cercare fortuna, lavoro e dignità e privati, nel giro di quattro mesi, della loro ricchezza più grande, i figli Mohamedi e Fadel.

Non è la prima volta che la nostra scuola viene colpita dalla tragedia, sono colpi durissimi per una comunità di ragazzi e di educatori, sono drammi su cui riflettere e da rielaborare tutti insieme. Sicuramente andremo avanti, sicuramente continueremo il nostro lavoro, che consiste nell’accogliere i ragazzi, nell’ascoltarli, e nell’aiutarli nel faticoso cammino della crescita. L’abbiamo sempre fatto e lo faremo ancora perché questo è il mestiere bello e difficile che ci siamo scelti, l’abbiamo sempre fatto e lo faremo ancora anche nel nome di chi ci ha lasciato, nel nome di Fiorella, di Loredana, di Fabio e di Fadel.

Voglio chiudere queste mie poche e impacciate righe con una citazione, è l’urlo rivolto al cielo che Dostoevskij mette in bocca ad un piccolo sacerdote nella Russia dell’800, nel corso del funerale di un bambino, in una delle pagine più intense de I Fratelli Karamanzov: "Signore, perché i bambini muoiono?"

Domenico Squillace

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