Parla “l’erede” di Bertolaso

Franco Gabrielli, già prefetto dell’Aquila, a fine anno prenderà il posto del capo della protezione civile italiana. La sua prima uscita ufficiale, dopo l'annuncio, è stata sul lago Ceresio per l'inaugurazione di un natante della protezione civile locale

Scravattato e in giacca blu. Non una goccia di sudore. Eppure la canicola di luglio a Porto Ceresio sfiora i 35 gradi. Franco Gabrielli, vice capo dipartimento della protezione civile, già prefetto dell’Aquila e direttore dei servizi segreti italiani (Sisde) prima della riforma, è l’uomo che a fine anno prenderà il posto di Guido Bertolaso. In piazzetta Bossi sul palco doveva esserci il capo supremo, ma è trattenuto all’estero da altri impegni. Per Gabrielli è quindi la prima uscita ufficiale, dopo l’annuncio della successione, e l’occasione è data dall’inaugurazione di un battello del nucleo di pronto intervento che opererà sul lago Ceresio. A questo cinquantenne – un giovane per gli standard italiani – sposato con tre figli, il compito, dunque, di raccogliere l’eredità, nel bene e nel male, di uno degli uomini più potenti d’Italia.
Gabrielli, il compito che l’aspetta la spaventa?
«Diciamo che succedere alle persone incapaci è più facile, non è il mio caso. Bertolaso ha segnato l’intero percorso della protezione civile italiana. Il fatto che ci sia stata un’indicazione precisa nella mia persona in tempi non sospetti è molto importante. Sono pronto perché stato 25 anni al servizio del mio Paese e sono andato ovunque mi abbia chiesto di andare».
Lei ha detto che questo è “un territorio baciato da Dio”.  È un bacio dal sapore amaro visto gli allagamenti e le frane che hanno flagellato il Varesotto negli ultimi anni. Dobbiamo vivere in perenne emergenza?
«Il dissesto idrogeologico e il pericolo sismico sono le caratteristiche di questo Paese. Occorre però che ci sia una presa di coscienza civile e un salto culturale perché i problemi sono di tutti e la prevenzione è fondamentale. Iniziamo a costruire bene le case e nei luoghi dove si dovrebbero costruire e iniziamo a far capire alle persone che questi sono problemi della comunità. Noi ci possiamo mettere i mezzi e le strutture, ma il territorio va presidiato dai cittadini. Quello che oggi Porto Ceresio sta facendo, con la messa in acqua di questa imbarcazione della protezione civile, è un simbolo concreto e importante dell’impegno delle persone che vivono qui. La sfida che bisogna lanciare è creare una cultura diffusa della protezione civile. Io dico sempre che siamo 60 milioni di volontari».
Per mettere in sicurezza il Paese occorrono molti soldi, più di quanti ce ne sono. Quali sono le sue richieste in questo senso alla politica?
«Di soldi e del consuntivo è presto per parlarne. Iniziamo con il dire che mai, prima della vicenda abruzzese, l’Europa aveva stanziato mezzo miliardo di euro, soldi che sono già arrivati. Un finanziamento che arriva da quella stessa Europa che non ha mai risparmiato critiche puntuali  al nostro Paese, ma che è anche un riconoscimento al lavoro fatto e al radicamento che la protezione civile ha sul territorio. Per affrontare questa situazione lo Stato centrale, le autonomie locali e i cittadini devono fare la loro parte. Stesso discorso per il governo che deve essere forte e autorevole».

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Pubblicato il 11 Luglio 2010
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