“Sono partito perché…”: storie di migranti in concorso

Una serata tutta dedicata al tema dell'immigrazione: occasione un concorso artistico/letterario aperto a tutte le persone detenute in Lombardia

Perchè, in tutto il mondo, milioni di persone decidono di spostarsi dal luogo di nascita? Motivi economici soprattutto, ma anche familiari e semplicemente personali. Per i milioni di immigrati extracomunitari presenti oggi in Italia certamente la motivazione più forte è la prima: migliorare cioè le proprie condizioni di vita e, soprattutto, quelle della famiglia di origine e dei figli. Per far conoscere queste storie, la Casa Circondariale di Varese e l’Auser (Associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà) di Varese hanno deciso di organizzare un concorso letterario e artistico aperto a tutte le persone detenute in Lombardia. L’obiettivo dell’iniziativa – che si è conclusa nella serata di giovedì 11 novembre a Varese con la premiazione – era quello di far emergere il più possibile le storie dei tanti migranti che negli ultimi anni affollano gli Istituti Penitenziari Italiani allo scopo di far conoscere l’aspetto umano e la sofferenza vissuta per raggiungere il nostro paese.
Più delle tante parole e testimonianze, abbiamo deciso di raccontarvi la serata che si è svolta nella Sala Montanari con alcuni stralci delle storie di chi ha partecipato al concorso.

Primo classificato: Yassine, 24 anni, nato in Marocco (Varese)
"Sono nato a Casablanca, una città vibrante e viva. Dopo che ho frequentato certe persone non molto accettate dai miei parenti, è cominciata a girare nella mia testa l’idea di attraversare il Mare Mediterraneo […]. Così sono partito verso la Libia e sono arrivato a Tripoli. Ho telefonato ai "trafficanti", ci siamo visti per un primo incontro, mi hanno conosciuto, o forse gli importava solo sapere se avevo i soldi […]. Il viaggio di circa tre ore era su una strada buia, asfaltata nella prima parte, poi in una zona deserta […]. Ho visto solo la casa che mi osipitava, chiuso al secondo piano, con altre venti persone vicine li nella stanza e più di cento nel resto dell’abitazione […]. Alle 20 siamo stati portati nel deserto per aspettare l’arrivo degli altri gurppi; dopo abbiamo camminato nel deserto tutta la notte […] Siamo arrivati al mare, ci aspettavano con i gommoni che facevano da spola. Prima di salire mi hanno preso lo zaino, la cintura, le scarpe che "tanto te le comprerai quando arrivi in Italia". Eravamo in 320. Per le prima 12 ore il mare era calmo, poi ci ha sorpresi un temporale […]. Dopo quattro giorni di navigazione senza nè mangiare nè bere siamo arrivati alla frontiera dell’Italia. Un elicottero ci ha visti e ci ha fotografati, dopo poco quattro navi della Guardia costiera ci hanno circondati e ci hanno portato a Lampedusa […]. Dopo 20 giorni sono partito da Crotone verso Milano e ho chiamato i miei cugini. Uno è venuto a prendermi e mi ha portato a Varese […] Ho lavorato al mercato di Varese, Luino e Ponte Tresa: ero in difficoltà nell’accettare questo lavoro perché nel mio paese avevo un diverso tenore di vita […] e qui a Varese è arrivato un giorno particolare… […], Ora manca poco al giorno della mia libertà. Sono contento perché ho sfruttato nel miglior modo il mio tempo in carcere, imparando più che potevo".

Secondo classificato: Wajdi, 29 anni, nato in Tunisia (Busto Arsizio)
"Da piccolo, come tutti i bambini di questo mondo, sognavo i giocattoli che non potevo avere, perché la mia famiglia era povera e numerosa. Per mia madre, però, l’educazione era importante e, a costo di grandi sacrifici, mi ha mandato a scuola. Ma, come figlio maggiore, ben presto sono stato sacrificato, per permettere anche ai miei otto fratelli di avere un minimo d’istruzione. E’ il lavoro che mi ha insegnato a vivere. A dieci anni, al mercato, caricavo, scaricavo e trasportavo pesanti scatoloni pieni di vestiti […]. Io sentivo dentro di me l’impulso di andare a cercare altrove un nuovo destino come aveva già fatto mio zio materno che era emigrato in Italia. Sono partito per l’Italia pieno di speranze, di aspettative, ma anche di tanta paura. A Casarl Hille, lontana dal porto di Tunisi cento chilometri, in un parcheggio davanti a una ditta di tessuti, mi sono infilato sotto un tir con targa francese, sdraiandomi sul semiasse delle ruote posteriori […]. Sbarcato a Marsiglia, sono uscito da sotto l’autotrasporti. Due impiegati mi hanno visto attraverso la vetrata dell’ufficio e, inaspettatamente, mi hanno fatto segno più volte di andarmene. Così ho fatto, ringraziando in cuor mio queste brave persone […]. La signora Anna della Caritas mi ha mandato a scuola d’italiano e dopo tre mesi ho trovato lavoro come manovale presso un piastrellista calabrese che mi ha ospitato in casa sua e trattato come un figlio. Sì, come un figlio che a lui e alla moglie mancava. Proprio grazie a lui e alla legge Bossi-Fini, nel 2002 ho ottenuto il permesso di soggiorno […]. Ho trovato lavoro presso un supermercato, prima come addetto alle pulizie e poi come responsabile di magazzino. Nell’azienda ho conosciuto una ragazza rumena, strappata dalla sua famiglia con mille promesse e sfruttata da un gruppo di compaesani. Dopo qualche tempo, con Matilda incinta, sono stato vittima della crisi economica italiana. Sei mesi di disoccupazione, la nascita della mia bambina, nessun nuovo lavoro per mantenere la famiglia e per pagare il mutuo della casa".

Terzo classificato: Ken, nato in Albania (Como)
"L’albanese si dice che sia un popolo fiero, orgoglioso delle proprie origini, abituato, per via degli anni della dittatura comunista, a chiudersi in se stesso […]. Molte volte sulle pagine della cronaca nera dei giornali italiani risaltano nomi albanesi. Nomi che sono diventati numeri di matricola nelle carcri italiane […]. Io non sarò certo giovane quando uscirò nel mondo libero…Il vero viaggio, la mia vera migrazione le ho trovate grazie alla ricerca della "ragione". Una ragione che, una volta ritrovata, mi ha dato la forza di pensare al domani […]. Il mio viaggio iniziò una sera a bordo di un gommone con altri settantuno esseri umani. Donne con bambini piccoli, giovani adolescenti con i propri genitori e tanti ragazzi come me soli alla ricerca di un approdo nel cosidetto bel paese: l’Italia. […]. Dopo varie peripezie sono salito fino a Milano, stabilendomi nella periferia bergamasca dove lavoravo come carpentiere nei vari cantieri edili […]. Ero e sono un albanese, un’aggravante per tante persone che si limitano ad un giudizio supeficiale […]. Nel centro stampa del carcere è iniziato il mio percorso verso la rinascita. Ho conosciuto Patrizia e tanti compagni di viaggio. Nel tempo sono anche diventato il tutor del Centro […]. Oggi viaggio a "fari accesi" anche di giorno senza esserne obbligato, ma solo perché lo voglio e sento in me una forza e un’energia positiva».

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Pubblicato il 12 Novembre 2010
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