Donne maltrattate, prigioniere della paura

Lo scorso anno 93 donne si sono rivolte al centro EOS contro la violenza alle donne. Storie tragiche e allucinanti da cui fuggire spesso è impossibile

Si comincia con uno sguardo. Diretto, implacabile. E inizi a sentirti a disagio. Poi, subentrano le minacce: prima verbali poi fisiche. Sempre più dure, sempre più devastanti.

La violenza alle donne è un dramma che spesso si vive nel silenzio della propria casa. Senza scampo, senza speranza. La dipendenza dal persecutore diventa una catena da cui è impossibile liberarsi. Si subisce, si soffre e ci si sente terribilmente in colpa.

È una spirale inarrestabile, quella in cui le donne maltrattate cadono rimanendo incastrate per anni e a volte per sempre: « Le dinamiche sono sempre uguali – spiega Camilla Zanzi, presidente dell’Associazione EOS – Si innamorano di un uomo e piano piano diventano schiave di quel legame. Quando si rendono conto dell’inferno in cui sono costrette è spesso tardi. Uscirne diventa impresa titanica, bisogna riacquistare fiducia in se stesse, affrontare il giudizio sociale, le difficoltà economiche e, infine, la minaccia fisica del compagno. Se poi ci sono figli, la fuga è difficilissima».

Lo scorso anno, l’associazione EOS, che si occupa da 18 anni di violenza alle donne, ha assistito a Varese 93 vittime  in stato di grave disagio fisico e psichico. Storie impossibili, di violenze inaudite compiute con coltelli, ferri da stiro, mani violente. I referti medici parlano chiaro:  frattura del setto nasale o del bulbo oculare, trauma cranico,  rottura del timipano, strangolamento. Poi ci sono le violenze psicologiche, quelle sottili che non appaiono, che i vicini di casa non notano: « In questi casi la condizione della donna è ancora più frustrante. Spesso i mariti, simpatici, gioviali, garbati e con un’immagine vincente, ottengono un’alta stima nel contesto sociale in cui vivono, un’immagine difficilissima da smontare».

Donne sole, a  cui spesso anche la propria famiglia non dà credito e dipendenti economicamente dal marito, trovano la forza di reagire solo quando sono sul baratro: « Esiste un numero di emergenza, il 1522 a cui si possono rivolgere. Ottengono le prime informazioni e poi vengono indirizzate alla nostra associazione. Noi offriamo un confronto e un supporto di tipo sia psicologico sia giudiziale. Solo il 42% delle donne, però, sporge denuncia e non tutte vanno fino in fondo a causa dei tempi dei procedimenti».
A spingere le donne a reagire sono spesso i figli, l’immagine di bambini che assistono impotenti a scene così brutali : « Le madri fanno da scudo, per evitare traumi psicologici ma anche, spesso,m fisici».

L’uomo violento ha spesso caratteristiche simili: la progressione della sua prevaricazione ha dinamiche comuni. Non esiste ceto sociale o età o nazionalità specifici: la persona violenta si può nascondere dietro a ognuno. Il maltrattatore è quasi sempre il marito, il convivente o l’ex ( ancora più pericoloso perchè agisce con freddezza). Lo scorso anno EOS non ha registrato violenze da parte di estranei.

«Rispetto a trent’anni fa – commenta la presidente Zanzi – oggi è venuta meno la solidarietà femminile. L’aiuto reciproco per rialzare la testa. Inoltre occorrerebbero maggiori risposte istituzionali, luoghi dove poter accogliere queste donne spaventate e senza riferimento. Oggi sono i Comuni a gestire gli spazi, ma sono limitatissimi e spesso la mancanza di un aiuto concreto è il motivo per cui queste donne ricascano nella spirale. È il caso di una giovanissima, picchiata a sangue dal proprio compagno che è ritornata con lui. Meglio il dramma conosciuto che una libertà tutta da costruire…».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Novembre 2010
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