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E’ morto Max il senegalese, un’icona del centro di Varese

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2 Marzo 2011

Gentile Direttore,

Scrivo per chiederle la possibilità di pubblicare questo sfogo per un caro amico scomparso ieri mattina, che tutta Varese conosceva e che amava. "Dov’è finito Max il Senegalese?" Conosciuto da tutti, Max, era una vera icona varesina.
Serigne Massamba Diagne era rientrato in Senegal per la festa del Tabaski a inizio gennaio, doveva rientrare a Varese per fine aprile. Finito l’allenamento, martedì sera, ho trovato un sms che diceva: " Lori ma è morto Max? l’ho letto su FB.. è vero?"

Dopo una serata passata a rimbalzar telefonate a destra e sinistra finalmente riesco a contattare suo fratello Amadou Diagne che si trova in Senegal:

"si è svegliato col mal di pancia, nel pomeriggio aveva mal di pancia, l’abbiam portato in ospedale. Dopo 2 giorni è morto, ieri mattina."

"senti ma all’ospedale ti han detto di cosa è morto?"

"mal di pancia"

"ma come…"

" si si han detto mal di pancia".

Forse molti lo ricordano appollaiato al parcheggio dell’ACI di Piazza Montegrappa con la sua bancarella di manufatti senegalesi, oppure lo ricordano al Garibaldino dove, come se fosse a casa sua (in effetti lo era), appoggiava la sua scatola di oggetti, accendini, occhiali da sole colorati e cappelli, su uno dei tavolini del Biffi e si perdeva in chiacchere coi tanti amici che aveva. Altri lo ricorderanno anni fa intorno al Mozart, nelle ore notturne, quando ragazzi barcollanti per i fumi dell’alcol si fermavano per 4 chiacchiere al suo "ue fratello, tutto a posch?".

Lo si incontrava nel cortile del Baltazhar, dove non aveva la necessità di procacciar clienti, ma tranquillamente faceva la sua serata tra amici, tutti i ragazzi che frequentavano il bar praticamente ("Varese da bere" e non), aspettando che qualcuno venisse a chiedergli l’accendino che era stato fregato, oppure l’occhiale pazzo o il cappello matto per la festa che c’era in programma la sera stessa.
Si potrebbe aprire un intero capitolo sulle capacità socio-economiche e sull’intuito di Max, abilissimo nel saper prevenire ed intercettare le tendenze del popolo giovane varesino, che bue ama cavalcarle, proponendo sempre l’articolo giusto.

L’occhiale finto Ray Ban colorato, il cappello tipo Borsalino sgargiante, il cilindro da cappellaio matto, il gri gri (braccialetto di pelle tipico senegalese), la scorsa estate le vuvuzela, l’accendino che proietta donnine nude. Ognuno, pensandoci un po’ ha un gadget di Max sulla incasinata scrivania di casa, oppure in macchina, o sotto la sella del motorino. Capiva i bisogni della gente sapendo individuare il target giusto, l’articolo giusto, l’azione di marketing giusta. Un vero imprenditore.

Con molte amicizie coltivate nella sua lunga residenza varesina, poteva rientrare in Senegal, ogni anno, con pesanti valige contenenti articoli di ogni genere che regalava ai più sfortunati. Cancelleria, apparecchi radiofonici, walkman, lettori cd, divise da calcio, palloni, giochi, donati da generosi varesini che hanno saputo leggere negli occhi di Max una grande fiducia e un grande rispetto per la tenacia di questo ragazzo.

Mi hanno dato del matto, mi son sentito dire: "ma ti fidi? be si Max è bravo ma ti fidi ad andare con lui?" oppure: "Hai fatto le vaccinazioni?" "occhio a non farti rapire!", "ma te sei matto!, ma cosa vai a fare?", "ma c’è il mare in Senegal? be è gennaio ma fa caldo, beato te che vai al mare!!" … Ho avuto la fortuna, e la sfrontatezza forse, di andare insieme a Max in una delle sue annuali rimpatriate in Senegal raccogliendo un invito che sovente faceva ai più assidui frequentatori del centro. Penso di averlo vissuto davvero durante quel viaggio stupendo, condividendo il materasso di gomma piuma di casa sua, oppure mangiando nello stesso piatto coi suoi famigliari, venendo deriso per il mio essere mancino, un tabu per la loro cultura. Nel Gennaio del 2006 ho vissuto una indimenticabile esperienza tra i mille colori di questo popolo affascinante. Ho avuto la fortuna di girare gran parte della costa senegalese, da St. Louis fino a Mbour e dintorni; addentrandomi poi nella zona centrale, visitando moltissime città e villaggi dispersi nel sahel senegalese.

Ogni tappa è stata un profondo arricchimento, essendo sempre ospitato in casa di amici, parenti, conoscenti e cibandomi sempre di deliziosi cibi tipici (dalla Yassa al Tjebujenne[1] ad esempio); passando interminabili tramonti sotto a qualche baobab o mango attendendo che la preghiera serale fosse conclusa per ritirarmi esausto ed entusiasta nel letto fatto di gomma piuma che le donne dei villaggi mi preparavano meticolosamente. Durante questo strepitoso viaggio sono venuto a conoscenza di una cultura che ignoravo, che mi ha fatto scoprire un mondo nuovo, intriso di credenze, riti ancestrali, pratiche religiose e culturali molto distanti dal nostro punto di vista, forse a volte troppo, occidentale ed empirico.

Una miriade di preghiere e icone di personaggi per me misteriosi (la figura di Amadou Bamba ad esempio) decorano pulmini, pullman e taxi che sono un vero tripudio di colori e figure. Sono decorate le facciate delle case, dalle zone urbane di Dakar fino ai villaggi sperduti attorno a Ndande,città natale di Massamba, nella zona semidesertica centrale, dove le pitture sono sostituite da immagini fotografiche o poster, visto che il 90 % delle case sono interamente di paglia.

Nella città di Touba ho avuto la fortuna (indossando abiti tipici) di visitare la Moschea più importante dell’ordine mourid, ove è sepolto il profeta Bamba, ho mangiato tjebujenne con i cugini di Max mentre lui cercava quella persona o l’altra. Abbiamo rinnovato l’assicurazione della sua macchina il venerdì mattina (come la domenica per i cristiani, il giorno di riposo) in un benzinaio nei pressi di Louga, e Max si vantava di conoscere questo o quello e di poterlo fare. Cercavamo a Thies un suo amico che faceva il musicista: volevamo fare colazione insieme. Per trovarlo abbiamo girato almeno 10 famiglie e bevuto altrettanti tè di benvenuto. Ci ospitò per cena…

Siamo stati ospiti a Sali Portugal del Ministro dell’Agricoltura Senegalese: lui non c’era,era a Dakar, ma il custode della casa era amico di Max. Abbiamo mangiato i gamberoni col suo cuginetto Al Hajj all’Isle de Goree, uno dei punti di partenza delle navi cariche di schiavi africani verso le americhe. In varie occasioni sono stato ricevuto in udienza da alcuni importanti marabut locali supportati dall’aiuto di Max che traduceva puntualmente Wolof-Italiano-Wolof per dare la possibilità a me e al mio interlocutore di confrontarci.

Ogni villaggio, città o paese che attraversavamo meritava una o più soste per salutare gli amici, davvero tanti, che Max aveva in tutto il Senegal. Ho percorso quasi duemila chilometri assaporando, scoprendo e stupendomi all’interno di un paese fantastico, pacifico, sereno, ospitale, cordiale, ricco di colori e sorrisi indimenticabili. Ho riportato alcuni ricordi di quell’esperienza, sperando di aprire una finestra sulla sfera senegalese della sua vita, ai più ignota, e che in questo marzo pazzerello ha deciso di chiudersi.

Ciao Massamba.

Grazie per l’attenzione, un cordiale saluto

Lorenzo Maffioli

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