“Carcere e affetti, detenuti e famiglie non vanno lasciati da soli”
Un concorso chiama i carcerati lombardi a tradurre in arte l'affettività dietro le sbarre. Ma nella realtà gestire i rapporti con i parenti diventa drammatico, come testimonia la psicologa
«Non si possono gestire gli affetti quando si è in carcere. Si può solo mantenere i rapporti con i propri cari per dire "ci sono ancora e in futuro tornerò"». È tema molto complesso quello dell’affettività in carcere e lo sa bene Laura Testa, psicoterapeuta che da tempo lavora anche negli istituti di Varese e Busto Arsizio proprio su questi temi. «Relazionarsi con la propria famiglia in un contesto così – spiega – è una forzatura rispetto a quella che è la struttura dell’animo umano. Senza contare che gli affetti sono una questione strettamente individuale: ci può essere chi senza una relazione continua con una persona rimasta fuori non riesce a stare e chi non riesce a gestire il fatto di dovere vedere i parenti in momenti prestabiliti».
Proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a queste tematiche che, come sempre accade quando si parla di carcere, restano chiuse fra le mura dei penitenziari, è nato il concorso "Mi si è ristretto l’affetto: storie di sentimenti tra le sbarre" promosso dalla Casa Circondariale di Varese e dall’associazione Il Solco. «Per il gruppo di Varese – spiega la responsabile dell’area educativa Maria Mongiello – è stato un modo per liberarsi e tirare fuori le emozioni». Nella struttura varesina (in modo del tutto simile alle altre realtà carcerarie) le persone detenute hanno diritto a due colloqui settimanali, oltre a colloqui telefonici e alla corispondenza cartacea. E se l’amministrazione non può fare molto per favorire momento di privacy fra coniugi (in Italia non sono previsti, come accade invece in altri paesi europei), può invece facilitare gli incontri con i figli. «Dall’amministrazione centrale c’è più attenzione su questo fronte – continua Mongiello -. Noi abbiamo creato nell’area colloqui una zona a misura di bambino con giochi e decorazioni sui muri. Organizziamo inoltre momenti speciali in occasione del Natale o della festa del papà».
I detenuti e le loro famiglie non hanno però l’occasione di stare da soli dato che i colloqui si svolgono contemporaneamente. «La gestione degli affetti è una delle cose più intime per una persona – continua Laura Testa -, ma in un carcere tutto è pubblico. Per questo c’è sempre una certo grado di innaturalità negli incontri. E non avendo dimestichezza con l’altra persona per lunghi periodi, è difficile mantenere la relazione».
Come in altri ambiti, i detenuti e i loro famliari sono lasciati soli ad "autogestirsi" in questo difficile percorso, mentre avrebbero bisogno di essere «aiutati a stabilire relazioni in base alla condizioni che sono date loro – continua Testa -. Servirebbero dei mediatori e un supporto psicologico. Purtroppo questo è un discorso che non viene considerato e che non trova spazio. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di persone, seppur detenute, ma persone».
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