“Tutti allo sbando, ci siamo arrangiati da soli”

Il racconto di Dennis, veneto ormai "adottato" da Clivio, tornato dalla tragica crociera con l'amico Diego, con cui condivide l'attività commerciale. "In quella nave erano tutti stanchi"

La costa concordiaDiego e Dennis gestiscono insieme l’Osteria di Piazza Litta a Varese: Diego è di Clivio e Dennis è stato “adottato” dal paese, anche se non ne è residente, perchè è sempre più spesso in quella cittadina, pur essendo veneto.  Una scelta importante e un lavoro impegnativo, che ha bisogno più di altri di riposo ogni tanto. Ma proprio una di queste vacanze ha cambiato la loro vita: Diego e Dennis infatti erano sulla Costa Concordia, quella che è affondata venerdì 13 gennaio 2012 davanti all’isola del Giglio. «Noi facciamo un lavoro pesante e quando ci vogliamo riposare vogliamo farlo al meglio – spiega Dennis, voce ferma, nessun panico ma una coscienza molto precisa di quel che gli è successo – Per questo abbiamo scelto la formula della crociera: è la terza che facciamo. Questa volta avevamo poco tempo, e ne abbiamo scelto una più breve, nel Mediterraneo»

"ERANO TUTTI STANCHI"
«Non è la prima crociera che facciamo: ne abbiamo fatte di più lunghe e dispendiose. Abbiamo sempre navigato con la Costa e ci siamo sempre trovati benissimo, perché davvero in crociera ti coccolano. Ma questa volta, fin dall’inizio, ci siamo resi conto che c’era qualcosa di diverso. C’era un sentore di stanchezza generale, lo si notava anche tra i camerieri e i baristi. D’altra parte, era da sei mesi che erano in nave: proprio cinque minuti prima dello scontro l’abbiamo chiesto alla cameriera che ci serviva, se era stanca. E lei ci ha detto “Sì. E’ 5 mesi che sono imbarcata, e devo starcene ancora 4”. Se tiene conto che quella nave non si ferma mai, gira in tondo continuamente imbarcando persone ad ogni porto…Capiamo benissimo come ci si sente a lavorare con questi ritmi».

PREPARARSI PER L’EMERGENZA, NEL SILENZIO GENERALE
«Quando è successo tutto, noi stavamo finendo di cenare: eravamo tra quelli del secondo turno, quello delle 21. La prima cosa che abbiamo sentito è stata una vibrazione. Poi un rumore forte, prounciato: come se la chiglia fosse trattenuta da qualcosa. Ci siamo alzati da tavolo e ci siamo detti “Cosa facciamo?”. Non reagiva nessuno, così ci siamo riseduti, ma abbiamo subito visto che il tavolo si inclinava. Alla fine abbiamo deciso da soli: siamo andati via e abbiamo iniziato a comportarci come procedura».

La “procedura” è quella che viene insegnata ad ogni inizio crociera: si tratta dei movimenti che vanno fatti in caso di emergenza. «Noi li conoscevamo già, perchè li avevamo già imparati nelle crocere precedenti, e poi perchè abbiamo potuto fare il ripasso dopo la partenza da Savona. Quelli che erano saliti a Civitavecchia, invece, ancora non le conoscevano».

Così Dennis e Diego vanno verso la camera per recuperare il giubbino di salvataggio, indossarlo e recarsi al ponte 4, come vogliono le istruzioni per le emergenze. «Quando siamo stati al ponte 8, si è staccata la luce: una voce agli altoparlanti ha parlato solo di un guasto elettrico, ma noi abbiamo ignorato quello e tutti gli altri messaggi di rassicurazione. Del resto, a quel punto già si sentivano le prime scene di panico. Abbiamo recuperato il giubbino di una signora che si era abbarbicata a noi e ci siamo diretti al ponte delle scialuppe. Saranno state le dieci e un quarto». A quell’ora però, alle scialuppe non c’era ancora quasi nessuno: «Anche perchè non era stata diramata alcuna emergenza – spiega Dennis – Noi però non ci siamo più mossi, e abbiamo fatto bene. Il primo messaggio sonoro di pericolo l’abbiamo sentito solo alle 23».
Prima, nulla: solo tentativi di minimizzare. «Avevamo, alle scialuppe, solo una signora dell’equipaggio in tuta che ripeteva “don’t panic” e che poi è sparita quando l’emergenza è stata evidenziata. Ma c’era gente, come quelli che stavano al Casinò che è molto in altro, che il colpo l’aveva già sentito molto bene, anche molto meglio di noi che al ristorante stavamo al terzo piano».
Nel frattempo, la nave continua a inclinarsi e informazioni serie non ne arrivano «La stragrande maggioranza dei messaggi arrivava dal direttore di crociera, quello che annuncia eventi e spettacoli, ed erano fatti per minimizzare. ma ormai non ci credeva più nessuno».

IN CARROZZINA NELLA SCIALUPPA
i naufraghi della costa concordiaCosì, nella confusione che cominciava a crearsi, si sono create anche le prime situazioni di pericolo: «Tra i primi a venire alle scialuppe insieme a noi c’era una coppia di persone disabili, di cui la moglie era in carrozzina. Ci hanno chiesto subito aiuto perché il marito non era in grado di sollevare la moglie alla scialuppa. Abbiamo ovviamente detto subito di sì e fin da subito abbiamo chiesto, a chi c’era tra il personale, di caricarla prima che arrivasse la massa, perché dopo sarebbe stato difficile. E invece abbiamo aspettato ancora più di un’ora, fin dopo le undici, prima di avere il permesso, tutti insieme,  di salire sulle scialuppe: a quel punto c’era la massa nel panico, e caricarla è stato molto impegnativo».

L’INCUBO IN SCIALUPPA
In compenso, come accompagnatori di disabili, si sono ritrovati una delle prime scialuppe a scendere, insieme a donne e bambini. «La scialuppa era stracarica: e quando finalmente è stato dato il via per farla calare – nel frattempo si era fatta l’una – La nave era troppo inclinata e non si riusciva più a calarla in mare. La barca tornava sempre verso lo scafo: e noi la mandavamo fuori con i legni. Persino quando è riuscita a toccare l’acqua, la scialuppa continuava a sbattere contro la nave: e noi tentavamo con tutti i mezzi di spostarla in mare». Peggio andava per chi era dal lato della nave che si stava piegando verso il mare «Lì in parecchi, nel silenzio dell’organizzazione e vedendo avvicinarsi il mare contro di loro, hanno fatto di tsta propria e si sono buttati in mare».  Comunque, alla fine gli occupanti della scialuppa riescono a prendere il largo dalla nave: «Quando ce l’abbiamo fatta, ci siamo concessi tutti un pianto liberatorio».

Era certamente comprensibile, per dei viaggiatori che credevano di essere in uno dei mezzi più sicuri al mondo: «Arrivati a terra però, abbiamo visto il personale messo come noi: nessuno sapeva cosa fare, diversi piangevano. Il totale sbando, erano increduli innanzitutto quelli della Costa».

MENO MALE CHE C’ERANO GLI ABITANTI
Fortunatamente però, erano arrivati in un isola ospitale: «Meno male che c’era la gente dell’Isola del Giglio: ci hanno aperto la chiesa, dato un tetto, del caffè quando possibile, assistenza, coperte. E lì non è che ci fosse tanta gente: locali pubblici aperti praticamente non ce n’erano e la popolazione mi sembrava fatta da qualche decina di residenti anziani». Nel frattempo, il tempo passa. Alle tre arriva un ordine «Quello di metterci sul traghetto che porta all’Isola del Giglio. E quelli del traghetto, prima di farci entrare, hanno preso tutte le nostre generalità. Finite queste lunghe procedure siamo saliti sul traghetto e arrivati a Grosseto. Da lì, siamo stati radunati in una palestra, ci hanno divisi per porto di destinazione e poi siamo partiti verso Savona, dove siamo arrivati all’hangar della Costa Crociere intorno alle 12,30. Lì abbiamo capito per davvero che portata l’evento avesse anche per la compagnia: c’era totale incredulità per quello che era successo. Tant’è che non erano organizzati nemmeno li, e non sappiamo ancora come fare per avere il risarcimento delle cose, tante e costose, senza contare documenti ed altro, che abbiamo perso con il naufragio. Semplicemente, abbiamo preso la nostra auto e siamo tornati a casa».

QUELLO CHE I GIORNALI NON DICONO
La nave mentre affondaCol tempo, Dennis comincia a vedere le notizie sull’evento che avevano vissuto in prima persona: «Tra tutte, quella più inverosimile mi sembra quella che dice che la nave stava obbedendo alla "consuetudine" di salutare l’isola vicino alla costa. Perchè non era previsto: i passeggeri ogni mattina ricevono il “today”, cioè quello che succede nella giornata, che comprende anche i passaggi dai luoghi dove non ci si ferma. E nel today del 13 non c’era “alle 21 si passa dall’isola del Giglio”. Quindi, nemmeno sapevamo che ci saremmo passati di fianco, figurarsi se pensavamo di salutarla…».
La seconda riguarda il capitano della nave: «Come dicevo, la stragrande maggioranza dei messaggi era comunicata dal direttore di crociera. La voce del capitano ricordo di averla sentita una volta sola: era mezzanotte passata e segnalava all’equipaggio il fatto che lui sarebbe sceso con i gommoni a loro destinati, e che chi dell’equipaggio doveva seguirlo doveva raggiungerlo in un tal posto. Noi intanto, eravamo ancora nelle scialuppe ad attendere il via».

I RICORDI PIU’ BRUTTI
Il ricordo più brutto, comunque, è «Vedere il panico dei bambini, il piangere delle mamme, il panico degli anziani e dei disabili. Abbiamo visto mamme che buttavano i loro bambini nelle scialuppe già chiuse, da cui loro restavano giù, o anziani trasportati in barella. Sono cose che ti fanno stare male, anche perchè sai che tutta questa gente è venuta in crociera proprio perchè è una vacanza più sicura e adatta a loro. Tutte le facce che ho visto le ricorderò a vita».

La crociera, per Dennis e Diego, era ormai arrivata alla fine: «Siamo partiti da Savona, poi il primo scalo, che era Marsiglia, l’abbiamo saltato per mare mosso: ci hanno fatto scalare a Tolone e lì sono saliti i turisti francesi, mentre gli spagnoli sono saliti allo scalo dopo, Barcellona. Poi abbiamo fatto Maiorca, Cagliari e Palermo. Infine Civitavecchia, l’ultima tappa per noi prima dello sbarco, ma la prima per molti turisti che erano saliti proprio lì. Come le dicevo, era un continuo viavai di arrivi e partenze».

IO CI RITORNO, IN CROCIERA

Una vera, terribile avventura. Però su una cosa Dennis non ha cambiato idea: «Io ci ritorno, in crociera. Come ti coccolano li, non ti coccolano da nessuna parte. Come sono pulite le camere lì non lo sono da nessuna parte. E, più passa il tempo e rifletto su quello che ho passato, più mi rendo conto che non è un problema della crociera, ma il problema di un umano».

MERCOLEDI’ SI RICOMINCIA,
MA IL TELEFONO DELL’OSTERIA E’ CADUTO IN MARE

Dennis e Diego dovevano riaprire l’osteria di piazza Litta martedì. «Ma mi sa che rimandiamo di un giorno. Ovviamente, siamo tornati a casa più stanchi di quando eravamo partiti»

E, per di più, con il cellulare dell’osteria – quello dove ricevevano le prenotazioni – finito in mare insieme alla macchina fotografica, al PC dove avevano radunato tutte le foto fatte e mille altre cose. «Sappiamo che alcuni clienti habituè, che sapevano del nostro viaggio, ci hanno cercati su quel numero e si sono preoccupati. Diciamo da qui che siamo vivi e sani e che non ci siamo nemmeno feriti. Ma che le prenotazioni, per un po’, dovranno venire a farle di persona…»

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Pubblicato il 15 Gennaio 2012
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