Il pm: “Uva ucciso dai farmaci, condannate il medico a 1 anno”

Il sostituto Abate in aula: "Periti inattendibili, i sedativi uniti all'alcol sono all'origine della morte. Campagna mediatica contro questo ufficio, ma noi abbiamo difeso l'autonomia della procura"

Il pm Agostino Abate ha chiesto un anno di carcere per Carlo Fraticelli, lo psichiatra accusato di omicidio colposo, per la morte in ospedale di Giusepe Uva, l’operaio deceduto il 14 giugno del 2008 dopo un fermo dei carabinieri, oggetto da tempo di un caso mediatico e giudiziario.
Spente le telecamere, la parola è tornata alle aule giudiziarie, dove è in corso il processo per colpa medica contro Fraticelli , mentre il 25 ottobre compariranno davanti al gup altri due sanitari accusati di aver contribuito alla morte, con la somministrazione errata di farmaci
Il pm Abate ha parlato per quasi cinque ore. Il nucleo della sua requisitoria è stata la reazione tra la somministrazione di un ansiolitico da parte di Fraticelli e lo stato di intossicazione alcolemica in cui si trovava l’uomo quella mattina, un tasso che la consulente della procura Claudia Vignali ha calcolato in 1,6 grammi per litro al momento del prelievo di sangue due ore dopo il ricovero, ovvero intorno alle 7 e 45 di mattina, ma che nella notte, alle 3, secondo i calcoli del consulente era da considerarsi sopra i 2 grammi per litri, e cioè non lontano dal coma etilico, mentre solo nel prelievo posto mortem è stato giudicato 0,75 grammi per litro, una quantità che però corrisponde in condizioni di vita a quella precedentemente richiamata. Ebbene, la tesi della procura è che la letteratura medica prevalente su questo punto afferma che sarebbe consigliabile una somministrazione di farmaci non sedanti in un soggetto che ha assunto così tanto alcol. Tantopiù che nel reparto di psichiatria Uva giunse già in stato soporoso, dopo essere stato per due ore in pronto soccorso dove fu sottoposto ad altri farmaci.

L’imputato, secondo l’accusa, «aveva tutti gli elementi per capire che quella somministrazione poteva costituire un pericolo» ha detto Abate

. La procura sostiene questa tesi e considera la relazione dei tre periti nominati dal tribunale contraddittoria e poco credibile in diversi punti. Il pubblico ministero ha parlato di «poca serenità dei periti» di cui ha chiesto la ricusazione. Ha difeso la consulenza che all’epoca fece la dottoressa Vignali e quelle del medico legale Marco Motta che esaminò con attenzione il corpo di uva escludendo violenze. Ha eccepito sui reali titolo di uno dei tre consulenti, Angelo Demori, e criticato le conclusioni degli altri docenti (ambigue e strumentalizzabili) che avrebbero sottovalutato gli effetti dell’intossicazione alcolica. Il pm ribatte con una perizia dei Lloyds di Londra, realizzata su mandato dell’ospedale di Varese e curata dal professor Luigi Manzo di Pavia, che accusa invece i medici di aver sbagliato la cura, come è emerso nella scorsa udienza.
Il sostituto procuratore ha pronunciato anche una lunga premessa contro il processo mediatico che si è scatenato in questi mesi. «Sono state fatte manifestazioni in piazza con striscioni dove erano già scritte le sentenze – ha replicato – ma noi difenderemo sempre l’autonomia del nostro uffici».
Tra le critiche rivolte dal pm al lavoro dei periti una appare importante: non hanno cioè acquisito la radiografia che fece Uva quella mattina in ospedale, e che già indicava la totale assenza di fratture. D’altronde,e ricorda spesso il pm, quelle lastre andò a farla a piedi, dunque smentendo chi aveva parlalo di fratture del bacino. Il pm ha spiegato che l’indagine scattò solo il lunedì, perché nel giorno di sabato l’imputato scrisse nella cartella clinica che non si doveva avvisare la magistratura, anche se chiese una ricognizione corretta sulle cause della morte. È per questo che il pm riconosce a Fraticelli di esseri comportato correttamente nel preservare le prove e le cartelle cliniche e gli riconosce tutte le attenuanti.
Il Pm ha altresì ricordato che la campagna sulla morte violenta di Uva si basa, a suo giudizio, su una errata valutazione della sorella della vittima, che in obitorio scambiò le macchie ipostatiche che si formano normalmente sui cadaveri, per lividi da pestaggio. Ha poi ricordato che in fase di indagine sono stati sentiti i medici che entrarono in caserma, gli infermieri , i radiologi, i poliziotti e carabinieri. Il pm ha anche attaccato la conclusioni dei periti che parlano di contenzione fisica come concausa della morte: «Non c’erano né segni di afferramento, né segni di manette sul cadavere». Non ha escluso che nel trasporto in ambulanza durante il tso Uva sia stato ammanettato, ma senza conseguenze fisiche. Ha infine accennato alla conferma che il sangue sui pantaloni proviene da emorroidi, una circostanza che appare oramai chiara.

Uva, le fasi del processo

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Pubblicato il 26 Marzo 2012
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