Il pm Abate contrattacca: “Il processo Uva viziato dal giudice”

Durissimo atto di accusa del sostituto procuratore. Il magistrato ha presentato ricorso contro la sentenza che assolve il medico dell’ospedale. “Verità stravolta”

Raramente si sono lette accuse tanto dure tra appartenenti alla magistratura in carte processuali, ma quelle lanciate dal pm Agostino Abate (foto) contro il giudice Orazio Muscato sono vere e proprie bordate. Che fanno seguito, tuttavia, a una sentenza (assoluzione per il medico Carlo Fraticelli) in cui Muscato aveva messo in discussione il ruolo avuto dal pm Agostino Abate durante il processo per la morte di Giuseppe Uva; un caso che ormai è stato associato dalla stampa nazionale a quelli di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi come un decesso per botte, a causa delle forze dell’ordine. La realtà dei fatti è tuttavia ancora da accertare, anche se i sospetti sono leciti e i dubbi vanno ancora del tutto dipanati. Il pm Agostino Abate difende il suo operato e spiega che ha fatto quanto era giusto per accertare i fatti: nel ricorso in corte di appello contro la sentenza di assoluzione per il medico, ha sostanzialmente scritto che il processo è stato viziato dal comportamento del giudice: «La lettura complessiva della sentenza trasmette un ruolo del giudice/censore esorbitante e censurabile – scrive Abate – che da giudice del fatto e delle prove diventa il giudice del pm e dei suoi consulenti: assolve l’imputato e condanna questi ultimi». 
Non si sottrae allo scontro il pm, e tra le righe adombra la possibilità che il magistrato giudicante abbia un po’ tenuto conto della pressione mediatica della vicenda: «Dalla sedia del giudice attraverso la finestra erano ben visibili gli striscioni» scrive riferendosi alla manifestazioni che a ogni udienza venivano organizzate dai familiari e amici di Uva sul piazzale del tribunale.
«A livello mediatico si è formata una verità – scrive ancora Abate – e cioè che Giuseppe Uva sia stato picchiato a morte, e che il processo ai veri responsabili non si è fatto perché la procura li protegge». Ma questa versione dei fatti secondo il pm è uno stravolgimento della verità emersa dalle indagini. In realtà Agostino Abate spiega che è stata proprio la parte civile della sorella di Beppe Uva (l’avvocato Fabio Anselmo e altri) a chiedere che non venissero esaminati durante il processo i poliziotti e carabinieri che quella notte tennero per tre ore in custodia Beppe Uva. Abate fa l’elenco dei tutti i testi che aveva preparato, tra cui anche Alberto Biggiogero, l’amico che afferma da anni che il pm non vuole ascoltarlo. Nel ricorso si legge che il giudice ha assecondato questa richiesta «con motivazioni totalmente estranee alla corretta applicazione del rito vigente, tale decisione ha viziato all’origine tutto il processo».
Abate conclude quindi che si è verificata una «beffa processuale» poiché il giudice gli avrebbe prima impedito di sentire tali testi, ma poi in sentenza avrebbe scritto che bisogna indagare ancora su ciò che accadde in caserma. Il sostituto procuratore contesta poi alcune decisioni. Ad esempio il fatto che il giudice abbia chiamato come suo consulente il professor Thiene che nel processo Aldrovandi a Ferrara era il consulente di parte di Fabio Anselmo. Quanto alla morte di Uva, Abate sostiene che sul corpo vi era assenza di lesioni, che non c’è nessun mistero sull’indagine bis, e che vi è stata una errata ricostruzione dei fatti da parte del giudice in alcuni punti. Inoltre il pm accusa i consulenti di perizie contraddittorie e chiede la condanna in appello per il medico assolto in primo grado.

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Pubblicato il 09 Ottobre 2012
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