Nascita di una provincia fascista

Benito Mussolini, capo del governo, il 6 dicembre del 1926 invia una telegramma indirizzato al sindaco (futuro podestà): «Il Consiglio dei ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di capoluogo di provincia»

«Oggi su mia proposta il Consiglio dei ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di capoluogo di provincia. Sono sicuro che col lavoro e colla disciplina e colla fede fascista codesta popolazione si mostrerà meritevole dell’odierna disciplina del governo fascista. Firmato Mussolini
Il telegramma del Capo del governo indirizzato al sindaco (di lì a poco si sarebbe chiamato podestà) di Varese il 6 dicembre del 1926 rappresenta l’atto di nascita ufficiale della nostra provincia. Allora questo evento fu messo in relazione all’iniziativa intrapresa in tal senso da alcuni notabili varesini e sollecitata dal fondatore e direttore del quotidiano «Cronaca Prealpina», Giovanni Bagaini. Il risultato di quella iniziativa fu la redazione di un memoriale, il cui estensore materiale fu l’avvocato Giulio Moroni, consegnato il giorno di Santo Stefano del 1923 a Milano nelle mani di Alessandro Chiavolini, segretario particolare di Mussolini.
In realtà il decreto che istituì la provincia di Varese, insieme ad altre 16 nuove province (r.d.l. 2 gennaio 1927, n. 1), era funzionale alla profonda opera di ristrutturazione politica, economica e sociale in senso totalitario intrapresa dal Mussolini. In uno Stato che andava organizzandosi in modo rigidamente gerarchico sarebbe ridicolo pensare al riconoscimento di una «autonomia locale».
La stessa definizione dei confini del nuovo territorio provinciale, come pure la profonda revisione delle circoscrizioni comunali e dei circondari di Varese e di Gallarate («una vera rivoluzione» ebbe a definirla lo storico Luigi Ambrosoli), sembrò rispondere a ragioni di carattere meramente politico. Si trattò di rafforzare il confine con la Svizzera, approdo dei fuoriusciti antifascisti, con centri in cui poter distaccare commissariati di polizia; in qualche caso si volle premiare località in cui più importante era stata l’azione del fascismo squadrista, così come furono penalizzate altre in cui era stata storicamente radicata la presenza del movimento operaio organizzato.
La nuova provincia di Varese nacque unendo territori precedentemente incorporati negli ambiti amministrativi afferenti a Como e a Milano. Quest’ultima provincia si vide sottrarre una porzione di territorio ad alta intensità industriale come i mandamenti di Rho, Saronno e Busto Arsizio. Se ne dolse pubblicamente il presidente della deputazione provinciale di Milano, Sileno Fabbri, rivolgendosi direttamente al Capo del Governo dalle colonne del «Corriere della Sera» l’8 dicembre del 1926. Pur dichiarando di accogliere le decisioni del governo con «disciplina» e «con sincero animo di collaborazione», Fabbri non poté fare a meno di rilevare che «il distacco da Milano di un territorio così fecondo» avrebbe avuto ripercussioni sul bilancio locale e nazionale, tanto più che le neonate province mancavano delle strutture necessarie per l’adempimento delle nuove funzioni.
In un primo momento le rimostranze dell’autorità milanese trovarono ascolto: il 9 dicembre e il 9 gennaio alcuni dei comuni dei tre mandamenti sopra citati furono riportarti entro gli originari confini amministrativi. Il 31 marzo, tuttavia, i comuni di Busto Arsizio, Castellanza e Sacconago furono definitivamente destinati alla provincia di Varese. Ma il risentimento nei confronti di scelte che oggi definiremmo centraliste covò per tutto il ventennio, manifestandosi pubblicamente all’indomani del 25 aprile.
La città di Varese, piccolo borgo ora elevato a capoluogo di provincia, fu interessata da una profonda opera di ammodernamento delle strutture e dei servizi. Anche in questo territorio il fascismo volle lasciare impresso il suo segno indelebile nelle pietre. Nella primavera del 1929 l’amministrazione comunale volle ripagare il suo duce collocandone un busto in bronzo, realizzato dallo scultore Luigi Rossi di Arcisate, nel salone d’onore del Palazzo estense, divenuto sede dei nuovi organismi amministrativi.
Ma, al di là delle pubbliche attestazioni di fede offerte dai nuovi amministratori con generose acrobazie retoriche, la penetrazione di un sentimento fascista nelle pieghe più profonde della società era tutto da verificare. Nel 1930 fu inviato a Varese dal Partito nazionale fascista l’ispettore Angelo Nicolato per un primo bilancio sull’attività della neonata federazione e per fare un rapporto della situazione politica e sindacale del nuovo territorio. L’ispettore tracciò un resoconto in cui la granitica fede fascista, pubblicamente ostentata, risultava meno monolitica e ben più articolata. Ancora nel 1930 i territori della provincia non sembravano essersi ben amalgamati e permanevano quelle profonde differenze economiche e sociali frutto di storie diverse, che i nuovi confini non potevano di certo cancellare.
«L’abitante della zona di Varese – scrisse l’ispettore del Partito – è apatico per natura e per abitudine: esso è portato a disinteressarsi di tutto quello che non sia strettamente attinente ai suoi commerci. Si aggiunga che nel Varesotto il socialismo era un socialismo all’acqua di rose, tale da non eccitare una possibile reazione. Tutto questo trova contrasto stridente con quanto riguarda la parte della provincia situata nella piana e specialmente a Busto Arsizio, Gallarate, Saronno, che sono centri industriali di primo ordine. Il fascismo in queste zone trae le sue origini dal fascismo milanese, creandovi quasi una tradizione fascista che manca completamente nella parte alta della provincia dove i primi fasci vengono ad essere istituiti nel 1925 o 1926
Nella stessa relazione si rilevava come i vecchi rancori campanilistici sopravvivessero anche a causa del modo in cui era stata reclutata la nuova classe dirigente del Partito. Questa proveniva prevalentemente dal capoluogo e assomigliava, nelle parole dell’ispettore, a un losco comitato d’affari. I massimi dirigenti del Partito, forti della posizione politica conquistata, sembravano più impegnati nella cura dei propri interessi (per il perseguimento dei quali non lesinavano di esercitare pressioni più o meno violente) che nella dedizione alla causa fascista.
Insomma, l’élite politica che avrebbe dovuto guidare la nuova Provincia appariva – ad un funzionario dello stesso Partito fascista – decisamente scadente, al punto da richiedere un rinnovamento radicale delle cariche. Ma anche i nuovi vertici furono travolti dopo poco dalle accuse di incapacità e debolezza e dalle numerose lettere anonime che partivano da Varese indirizzate alla Segreteria nazionale del Partito, in cui si denunciavano magagne e intrallazzi. Per risanare la federazione provinciale si dovette reclutare nel 1931 Angelo Tuttoilmondo, già segretario del fascio di Busto Arsizio, con un pedigree di tutto rispetto: combattente della Grande guerra e legionario fiumano.

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Pubblicato il 01 Novembre 2012
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