«Quell’auto era un proiettile, per un caso non siamo nella lista dei morti»

Luciano e Ruben Tarantola, padre e figlio, si trovavano sull'auto che si è scontrata con la Peugeot dei cinque giovani. Il racconto dei quei tragici minuti

«Mi fa impressione leggere le notizie dell’incidente sul giornale e pensare che si parla di noi. Siamo vivi per miracolo, avremmo potuto essere nella lista dei morti». Dopo la tragica carambola che è costata la vita a Mirko Porcu, Andrea Imperiale e Agostino Caristo i sopravvissuti stentano a credere di essere ancora in vita. Luciano Tarantola, 37 anni, operaio in una tessitura di Inarzo, che abita con la famiglia a Buguggiate, stava accompagnando il figlio Ruben, 12 anni, ad una festa con i compagni di scuola a Morazzone. Il viaggio si è però interrotto prima, sulla provinciale 57, all’altezza di Gazzada: «Abbiamo visto la 206 che sorpassava a folle velocità un’altra auto – spiega Luciano Tarantola -. Non ho fatto in tempo a commentare la manovra che ci siamo ritrovati la macchina con a bordo i cinque ragazzi davanti, di traverso. Non ho potuto fare niente per evitarla, è successo tutto in un attimo».

La 206 guidata da Marco Panarese ha toccato altre due vetture prima di piombare davanti alla Fiat dei Tarantola dopo aver urtato il guardrail. Ruben si stava allacciando il giubbotto, ha alzato gli occhi e si è coperto il volto: «La cintura e l’airbag mi hanno salvato, senza non sarei qui a raccontare». La prognosi per i due è lieve: 15 giorni per il padre, una botta allo sterno e collare protettivo per arginare il colpo di frusta; 20 giorni per il figlio, tanti lividi, borsa del ghiaccio su un ginocchio e sterno scheggiato nell’impatto per la resistenza della cintura di sicurezza, che ha impedito che il ragazzino fosse scagliato contro il parabrezza.

Ruben è molto lucido nel suo racconto. I suoi 12 anni non gli impediscono di riconoscere che «mio padre non ha potuto fare nulla per evitare l’impatto. È successo tutto in pochissimi istanti. La botta è stata violenta, la mia portiera non si apriva e sono dovuto uscire da quella di mio papà. Quando ho riaperto gli occhi mi sono reso conto di essere vivo. Facevo fatica a respirare, ma so che avrei potuto morire come gli altri ragazzi. Ora quando salgo in macchina provo ansia perché so che può succedere di tutto senza che chi guida possa intervenire». Tra i ragazzi deceduti c’è anche Mirko Porcu, che i Tarantola conoscevano personalmente: «È venuto a bere un caffè a casa mia – spiega Luciano -, girava spesso qua intorno in macchina, con la sua ragazza. Era un bravo ragazzo, non amava la velocità, mi spiace davvero tanto per la famiglia». Ruben conosce anche Erika Lacavalla: suo fratello frequenta la scuola media di Buguggiate: «Spesso veniva sulle panchine davanti a casa nostra a parlare con le sue amiche, spero tanto si salvi».

Luciano Tarantola prova dolore e rabbia per quanto successo, consapevole comunque di non aver potuto fare nulla per evitare l’incidente: «La 206 di Marco Panarese  viaggiava a più di 170 chilometri all’ora, l’ho vista sbandare da lontano e in un attimo c’è stato l’impatto. So che il guidatore è ancora in ospedale. L’unica cosa che spero è che venga fatta giustizia. Mi augura che anche Marco si salvi: avrà sulla coscienza tre vite, il rimorso gli farà compagnia per sempre, ma spero sopravviva. Pensare che potevamo esserci anche noi in quella lista mi fa rabbrividire. Sono morti dei ragazzi innocenti, senza colpe. È terribile». Da quanto successo lunedì 21 novembre i Tarantola sperano possa essere tratto un insegnamento: «La velocità e il mancato rispetto delle norme sono pericoli veri, ingestibili. Serve educare alla sicurezza, scherzare con la velocità è inutile e dannoso per tutti».     

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Pubblicato il 22 Novembre 2005
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