I no all’immigrazione sono i no alla globalizzazione

Le posizioni della Lega sulle nuove questioni legate agli extracomunitari. Intervista a Fabio Binelli, leader del Carroccio varesino

Tre secchi no. Prima l’ambulatorio per gli immigrati "clandestini", poi la struttura di accoglienza per gli asilanti e da ultimo le graduatorie degli asili nido a Varese. La Lega torna alla carica con i vecchi slogan contro l’uomo nero?
«Niente affatto! La posizione del movimento è legata alla nostra idea della persona e non ha niente a che fare con il razzismo». Fabio Binelli, segretario cittadino e capogruppo del Carroccio a Palazzo Estense, malgrado la giovane età, 35 anni, è uno dei vecchi della Lega ed considerato uno dei "duri". Spesso la sua voce si è levata in consiglio comunale contro ogni tipo di provvedimento a favore dei cittadini extracomunitari. Nell’ultima occasione, in contrasto con la Giunta, ha di fatto affossato una variante di bilancio che avrebbe permesso il finanziamento di un centro per gli asilanti.

Perché questa politica ostile agli immigrati?
«La mia posizione è frutto di una riflessione sulla persona. Sono contro ogni tipo di immigrazione. Ieri era quella interna dei meridionali, oggi è quella degli extracomunitari. "L’uomo non è una bistecca" diceva tempo fa Bossi. Intendeva dire che ognuno di noi è figlio della propria cultura che dipende in primis dal territorio dove viviamo. L’uomo vive con un’insieme di relazioni interne alla propria comunità. Fuori da queste diventa più debole e le sue esigenze mutano e diventano meno ricche. Rimane attratto  da un modello "consumistico", senza più i valori della comunità. Comunità che noi chiamiamo popolo».

Ma questa società oggi non esiste più…
«Non è vero. Tranne l’America, tutti gli altri stati hanno fondato la propria storia sul loro senso di appartenenza e il popolo ha una chiara cultura a cui fare riferimento. Certo, oggi avanza un modello diverso in cui l’uomo conta solo perché è una forza della produzione e un consumatore. È quello che vuole la globalizzazione. Noi la consideriamo il peggior nemico perché vuole cancellare ogni diversità. del resto uno dei fenomeni che più la caratterizza  è lo spostamento di massa delle persone».

Ma questo c’è sempre stato…
«Non come oggi. Anche leggendo il Porta si scopre che nell’Ottocento a Milano gli osti erano tutti pugliesi. Noi abbiamo conosciuto i fenomeni migratori, ma non era un fatto di massa come si sta imponendo ora. L’immigrazione porta vantaggi solo a chi considera l’uomo come produttore e consumatore. Per chi è costretto ad emigrare e per chi ospita non ci sono vantaggi»

Non tutti la pensano così. C’è chi dice che l’immigrazione serve perché molti lavori non vengono più fatti dagli italiani…
«Bel ragionamento questo! Sa tanto di nuovo schiavismo».

Oltre l’aspetto economico, non crede che il fatto che si mescolino le culture produca una ricchezza per tutti?
«No, io non la penso così. Questo è vero solo quando si confrontano realtà strutturate. Il rapporto con l’immigrato strappato alla propria realtà rischia di essere a senso unico con noi che vogliamo la loro integrazione senza mantenere la loro cultura. Io sono contrario al modello americano dei ghetti e spero che l’Europa non segua quell’esempio».

Ma quanto lei afferma non fa a pugni con le idee liberiste?
«Beh, qualche contraddizione c’è. Io infatti non sono per il liberismo, anche se è vero che nella Lega molti lo sono. Il fatto di esserci alleati con Forza Italia che ne fa un proprio vessillo è anche per ragioni di sopravvivenza politica».

Ma allora cosa dovrebbe fare un amministratore con responsabilità di governo?
«L’ente locale purtroppo non ha nessuna autonomia, può solo decidere se appoggiare o no le scelte statali e quindi avvalersi o meno dei finanziamenti per progetti a favore degli immigrati. Ecco, noi diciamo di no! Non vogliamo farci carico dei problemi generati da questa cattiva legislazione».

Come si può ridurre la questione immigrazione a un fatto di norme?
«Sono fatti concreti. Il flusso migratorio da noi non è sotto controllo. Chi vuole avvalersi della forza lavoro straniera almeno ne paghi i pesi sociali. Non può essere che questi debbano ricadere sul pubblico».

Che fare quindi?
«In uno slogan, aiutarli a casa loro, ma non è così semplice e ne siamo consapevoli. Occorre una politica di sviluppo che valorizzi le loro tradizioni e non snaturi le loro abitudini. Purtroppo sembra che si vada in un’altra direzione, basti pensare alle recenti decisioni dell’Ue in materia di cacao e di banane, provvedimenti a vantaggio delle multinazionali e non certo dei popoli».

Perché ha dimostrato contro l’apertura di un ambulatorio per immigrati clandestini?
«Perché è un caso di razzismo al contrario. La nostra legislazione sociale permette già agli immigrati senza regolare permesso di accedere alle strutture pubbliche senza poter essere denunciati. L’Asl motiva la decisione per ragioni organizzative e questo ci sembra assomigli molto a quanto succedeva in Sud Africa con l’apartheid».

Perché anche contro la struttura per gli asilanti?
«Anche qui abbiamo una legislazione troppo vaga. I veri asilanti sono pochi, spesso abbiamo a che fare con normali immigrati o con persone che scappano da una guerra. Ma in questo caso questi non andrebbero sradicati dalla loro terra e non dovrebbero trasferirsi troppo lontano. Ci sono zone del mondo che sono sempre in conflitto aperto e  il fatto che la gente scappi e arrivi da noi non risolve il problema».

Questo però è un discorso in generale, ma perché rifiutare un servizio?
«Qui si tratta di realizzare una struttura dove verranno convogliate persone che hanno problemi. Perché Varese dovrebbe darsi una simile struttura? Il risultato sarebbe poi che dentro lì arrivino anche persone che non c’entrano».

Ma il progetto è piccolo…
«Noi non lo conosciamo nemmeno. Ho parlato una volta con il funzionario dell’assessorato ai servizi sociali, ma ne il sindaco ne l’assessore ci hanno mai spiegato di cosa si tratta. La questione è grave perché questa giunta non dialoga con il consiglio comunale. Comunque anche se votassi a favore questo progetto non mi convince».

Potreste votare a favore?
«È una situazione difficile. I due partiti che sono nella maggioranza spingono per approvare il progetto. Dovremo tenerne conto».

E sulla questione del nuovo regolamento degli asili nido che prevedono diritto di precedenza per gli italiani?
«Non capisco il gran can can che si sta sollevando. Attualmente è un fatto che buona parte del servizio è svolto a favore di extracomunitari. È vero che si parla di precedenze, ma non c’è alcun punteggio per la cittadinanza. Solo in caso di parità vale quello detto. A noi sembrava che questa fosse già una norma blanda. In altre regioni si assume addirittura con preferenza in base alla residenza».

Non converrebbe aumentare allora i servizi?
«Esiste un problema finanziario. Gli asili nido sono pochi, ma questi sono costosissimi e la copertura da parte dell’utente è solo del 30%. La domanda che però ci facciamo è legata ai vantaggi dei varesini in questa situazione, ma se dei servizi gratuiti ne beneficiano solo gli immigrati, quali vantaggi hanno i varesini in casa loro? Comunque tornando al nuovo regolamento in realtà non cambierà niente. È solo un’enunciazione di principio».

La lunga intervista con Fabio Binelli finisce con due domande molto personali.
Oggi Fabio Binelli potrebbe avere una compagna extracomunitaria?
«Credo di no. Non è una questione ideologica. È una questione di approccio mentale, avrei problemi perfino con una ragazza svizzera o tedesca».

Ha amici o conoscenti extracomunitari?
«No. Corrispondo con persone anche dall’altra parte del mondo, ma non ho conoscenti extracomunitari. Non ho avuto modo di conoscerne tranne quest’anno durante una supplenza in una scuola dove ho insegnato nella quale ho molto apprezzato l’educazione e la voglia di imparare da parte di ragazze sudamericane».

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Pubblicato il 29 Giugno 2001
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