Speranza, il ponte tra il passato e il futuro dei cristiani

Bruno Maggioni e Enzo Bianchi, nella seconda giornata di Lavori della settimana eucaristica nazionale, hanno tratteggiato l'aspetto di una virtù da comunicare

Due mostri sacri – se così si possono definire dei rappresentanti della chiesa cattolica – due caratteri profondamente diversi e due personalità straordinarie in un solo colpo hanno davvero riempito idealmente il teatro Apollonio, nella seconda giornata di incontri della Settimana Liturgica nazionale. Monsignor Bruno Maggioni (nella foto a fianco) e Enzo Bianchi hanno, ognuno con il suo stile e la sua capacità di incidere nelle menti e nei cuori, saputo affrontare argomenti intensi con grande profondità capacità di cogliere la sostanza delle cose.

Il primo a parlare è stato, nella mattina di martedì, don Bruno Maggioni: che – anche se queste parole possono sembrare quasi ridicole o sottilmente blasfeme – è davvero spassoso e commovente ascoltare. Il teologo e professore universitario ha affrontato un tema di quelli su cui ci si spacca la testa da sempre (il rapporto tra bene e male) basandosi su di un testo, l’Apocalisse, tra i più complessi e meno “digeribili” di tutto il vecchio e nuovo testamento.  Con totale consapevolezza, ma altrettanto spirito di condivisione delle conoscenze: il risultato è stata un esegesi del testo di Giovanni che ha fatto sorridere in continuazione l’uditorio.

"Per leggere l’Apocalisse bisogna lasciarsi un po’ andare alla fantasia. Pensate al dragone di cui si parla: ha 7 teste e 7 diademi, e fin qui va bene. Ma le 10 corone e le 10 corna dove le metto?" Si domanda Maggioni, stemperando tra le risate del pubblico la complessa allegoria “Ma se non ci si perde in questi particolari, la storia è straordinaria. Questo dragone che doveva avere una aria davvero spaventevole e onnipotente, che si confronta con una donna che aspetta un bambino, perde tutto quello che deve perdere e alla fine si siede a guardare il mare. Fa quasi tenerezza… Quello che raccinta questa allegoria è che la forza, l’arroganza del male non vince. E la lezione che se ne trae è bellissima: che non bisogna avere nessuna paura di fronte al male, nessuna paura di fronte all’arroganza, nessuna tentazione di cercare di assomigliare al male”.

Di taglio diverso l’incontro con Enzo Bianchi, il fondatore della comunità di Bose chiamato a tratteggiare il rapporto tra l’eucarestia, uno dei momenti più importanti della liturgia cattolica, e la comunicazione della speranza del vangelo. L’eucarestia è memoria della Pasqua storica, di un avvenimento già accaduto, ma è anche prefigurazione del banchetto nuziale tra Gesù e i credenti – ha sottolineato Bianchi – Senza questa consapevolezza noi rischiamo di fare un pasto in memoria di un morto. E invece non si tratta di questo: proprio perché è memoria del passato e prefigurazione del futuro, l’eucaristia è sorgente della speranza del cristiano. Per lui il frattempo non è un vuoto e la celebrazione eucaristica mette la verità e la realtà alla sua parusia (?)”.

Con metodi diversi, ognuno dei due relatori ha tratteggiato una parte profonda del cristianesimo e i motivi su cui queste parti fanno da fondamento alla speranza. Ma su un particolare i due protagonisti di questa giornata apperentemente tanto lontani tra loro sono stati tanto d’accordo da usare termini del tutto simili: che la speranza non può che fondarsi sul ricordo di un fatto, che fa da luce e faro della fiducia nel futuro. “La speranza si regge su qualcosa che è già avvenuto, che ti dice che cosa percorrere e ti fa immaginare un briciolo di gloria futura” spiega Maggioni. E, qualche ora dopo, Enzo Bianchi prosegue idealmente di rimando: “Ci vogliono fondamenta su cui stare saldi per potere sperare nel futuro senza angoscia”.

La speranza nel futuro nasce così, dalla certezza che proviene dal passato, da una testimonianza che non si dimentica. Perchè, come ha concluso Bianchi: “Si è testimoni di speranza solo se si è abitati dalla speranza”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Agosto 2006
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