Voleva un avvocato maschio. Accontentato e condannato

Imputato per rapina e lesioni, un giovane marocchino aveva rifiutato la difesa del suo avvocato perché donna. Il processo è ripreso con un nuovo difensore, questa volta uomo

«Sarà arrivato con una carretta del mare». Il pubblico ministero, Davide Toscani, conosce solo le imputazioni. Per il resto di Jarid Boraia non sa nulla , ma non è il solo. Tutti, compreso il suo nuovo difensore, Fabrizio Piarulli, sembrano ignorare quale sia la vera identità del ragazzo che è chiuso nella gabbia degli imputati. È marocchino, non avrà più di vent’anni. C’è chi dice ventuno, c’è chi dice venticinque. Tutti danno per buona una data di nascita: primo gennaio 1986. Di certo si sa che è clandestino, senza lavoro, irregolare e senza fissa dimora. Jarid potrebbe essere un Harraga.

Ha diversi alias su cui pendono già due condanne.  Furti, rapine, lesioni. La sua identificazione è stata possibile grazie alla banca dati che ha permesso di associare le impronte digitali ai diversi nomi che ha assunto durante la sua carriera criminale.

Jarid Boraia è di fronte al giudice del tribunale di Varese, Orazio Muscato, per rispondere di una rapina ai danni di un connazionale, avvenuta nel marzo scorso alla stazione delle Ferrovie Nord, e resistenza a pubblico ufficiale. Per bloccarlo quel giorno c’erano volute tre pattuglie della polizia. Inoltre venti giorni prima aveva colpito con una testata un infermiere, rompendogli il naso, mentre era ricoverato in ospedale.

Il suo caso, però, ha fatto scalpore perché, durante la prima udienza, ha dichiarato aperta ostilità al suo difensore in quanto avvocato donna, affermando di riconoscere solo l’autorità degli uomini presenti in aula. «Me lo aveva segnalato don Fiorenzo il cappellano del carcere – dice la professionista -. Io avevo accettato perché era un caso umano, pur sapendo che non ci avrei guadagnato nulla. Da subito però avevo percepito una certa diffidenza nei miei confronti, aveva infatti rifiutato il patteggiamento. Mai avrei pensato che sfociasse in quella dichiarazione in piena udienza. Non mi era mai capitato, pur avendo difeso altri suoi connazionali».

La patata bollente è passata così ad un suo collega maschio, l’avvocato Fabrizio Piarulli: «A dire il vero io non ero nemmeno di servizio. Quel giorno gli avvocati d’ufficio erano tutte donne e così sono stato pregato di prendere la difesa di Jarid a processo praticamente concluso. Perché ho accettato? Semplicemente per dovere deontologico e perché non volevo aggiungere ad una discriminazione un’altra discriminazione. È un soggetto difficile».

Jarid (ammesso che si chiami così) è nella gabbia: giubbotto beige, pantaloni militari e scarpe da ginnastica bianche. È piuttosto piccolo di statura, anche se quando mena le mani fa male. Nell’aula di tribunale le tiene incrociate, come se stesse pregando, ma non è così in quanto musulmano. Se ne sta in piedi con lo sguardo accigliato. È arrabbiato con il mondo e in aula non cerca alleati. Fa il duro, solo come si puo’ esserlo a vent’anni e in un paese straniero, dove nessuno conosce la tua lingua. Mai un sorriso, mai un cenno di emozione, mai un tentennamento. Nemmeno quando il giudice (uomo) gli legge la sentenza: 3 anni e 8 mesi di reclusione, più 600 euro di multa.
Jarid, chiavistelli ai polsi, esce dall’aula del tribunale stretto tra le due guardie carcerarie. A pochi passi, di fronte a lui, appoggiata ad una scrivania l’avvocato donna che ha rifiutato il giorno prima.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Ottobre 2006
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