Serve un carrozziere? Largo, è un lavoro da donne

Myriam, Samuela e Luigina mandano avanti l'officina di famiglia. Riparano sfregi e ammaccature, personalizzano camion, auto e motorini. Eppure i clienti scettici non mancano

Hanno dovuto rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Per lavorare bene in una carrozzeria tre donne devono tirar fuori la grinta. Perché il cliente tipo, quando entra in officina e trova una ragazza, seppur con i guanti sporchi e la tuta da lavoro, non si fida. Nella maggior parte dei casi indietreggia, la ignora e si guarda in giro. Prende tempo, aspetta, di veder sbucare un padre o un marito a cui affidare la sua portiera ammaccata o il suo cofano sfregiato. C’è qualche "temerario" che invece azzarda un «Posso chiedere a lei?» ma quando si sente rispondere: «E a chi, se no?», resta in silenzio con lo sguardo perplesso. Scene così sono all’ordine del giorno alla carrozzeria Alba di Varese. Perché a mandare avanti l’officina ci sono Luigina, Myriam e Samuela, tre donne. Una mamma con le sue due figlie che, un po’ per caso, un po’ per necessità, hanno imparato e continuato un lavoro “da uomini”, un impiego che ogni giorno le mette di fronte a pregiudizi e luoghi comuni.

«Ormai ci siamo abituate – racconta Myriam -, ci sono dei limiti che alcune persone non riescono a superare. Lo abbiamo capito e abbiamo messo in conto: una parte della nostra giornata deve essere spesa per convincere i clienti scettici. È così difficile credere che questo lavoro può essere fatto anche da una donna?». Myriam è la sorella più grande. È paziente, i pregiudizi degli altri non la scoraggiano ma qualche volta la fanno arrabbiare. In officina fa "il lavoro duro". Prepara le superfici, lucida, stende i colori, sistema le basi, rifinisce i particolari. Ha studiato ragioneria, poi ha frequentato un corso per stilisti. Quasi per caso ha iniziato a dare una mano al padre, scomparso da alcuni anni. Con lui passava i pomeriggi in officina «per imparare il mestiere», affascinata dalla sua passione e dalla sua manualità.
Con lei c’è Samuela, diplomata all’artistico, con la passione per il disegno e l’aerografia. Da autodidatta ha imparato a dipingere sugli oggetti, a personalizzare caschi e carrozzerie, oggetti per la casa, orologi, tavole da snowboard, stecche da biliardo. È diventata così il punto di forza dell’officina. Grazie alle sue doti la carrozzeria Alba si è specializzata in aerografie: disegni su cofani, portiere, motorini, accessori, sedili e interni.

E poi c’è Luigina, la mamma, la vera colonna della famiglia. «Per vent’anni ho aiutato mio marito, occupandomi della contabilità e delle commissioni da sbrigare. Tutto questo ce l’ha lasciato lui, l’azienda già avviata, macchinari, collaboratori di fiducia. Continuare con impegno quello che aveva iniziato è stato il nostro modo per dirgli grazie. Oggi la carrozzeria funziona bene, ma non è stato facile arrivare fino a qui».
Per farsi conoscere girano fiere, mercatini e motoraduni. Sono vetrine per mettere in mostra le loro creazioni: «Lasciamo che siano i nostri prodotti a fare da biglietto da visita – aggiunge Myriam -. Ma anche dopo aver visto quello che sappiamo fare c’è ancora qualcuno che storce il naso».

Eppure per fare il loro lavoro serve una certa fiducia da parte del cliente: «Si deve rompere il ghiaccio, bisogna fare qualche chiacchiera, capire a grandi linee la personalità di chi abbiamo di fronte. Un’areografia – spiega Myriam – è una decorazione molto particolare, deve rispecchiare il carattere, deve essere un simbolo dell’individuo. C’è chi si è fatto disegnare il volto dei figli, della fidanzata, perfino chi si è fatto riprodurre antiche immagini di famiglia. Diciamo che serve una certa abilità. Abilità, competenza, pazienza. Che richiedono molto impegno, più di quello richiesto ad un normale carrozziere. E dopo tutto questo, quando sono a casa, con i piatti da lavare, la cena da preparare e una figlia da mettere a letto, mi viene da ridere a pensare a chi ancora dice che il mio non è un lavoro da donna. Metterei un uomo-carrozziere a tener pulita una casa dopo una giornata di lavoro».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Novembre 2006
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