I genitori: «Vogliamo che Antonio resti in Italia»

Parla la famiglia di Antonio Trotta, che vuole riportare il figlio in coma da due a casa, ad Albizzate. Dalla Svizzera dove abitava e dove è sotto tutela dal giorno del terribile incidente

Se non fosse per la tragica vicenda che ha colpito Antonio, che è in coma da due anni dopo un incidente stradale, sarebbe una storia di quelle comuni, in questa terra di confine, quella della famiglia Trotta. La storia di una famiglia del Salernitano – quella di Gerardo Trotta, 64 anni «Agricoltore da sempre, nel cuore» – che si è spostata prima in Emilia Romagna, e poi nel varesotto, ad Oggiona Santo Stefano e poi ad Albizzate, per inseguire il lavoro “del nord”. Gerardo e sua moglie, qui, hanno avuto quattro figli, tutti “sistemati” come si usa dire: una in banca, una a scuola. E poi Antonio, che ha studiato da cuoco e che «come ha finito la scuola ha cominciato subito a lavorare in Svizzera, a S.Bernardino» spiega la madre.

Poi «Ha conosciuto quella ragazza» dicono i genitori. E in “quella ragazza” c’è il condensato dell’opinione che hanno di lei. Si sposa 13 anni fa che lei era giovanissima. ora ha trentadue anni. Lei è slava, e le loro vita pare si fossero già divise informalmente tempo fa, anche se per lungo tempo hanno diviso la gestione di un ristorante, il “del Ponte” di Minusio, che dopo la crisi e poi l’incidente è andato a carte quarantotto.

A legarli, però, c’è ancora quel curatore “amico di famiglia”, quel Giuseppe Chianese nominato da lei nei giorni dell’incidente, che a tutt’oggi l’unico tutore riconosciuto da Svizzera e Italia. E che ora, interpellato, ribadisce di non aver problemi a lasciare che venga curato in Italia. «Pensavamo che fosse nostro amico, non lo è più, questo Chianese – ribadisce il padre – senza contare che io mi sono fatto 40mila chilometri in macchina per andare a trovare mio figlio ogni giorno. Moglie e curatore lo venivano a trovare ogni tanto, e stop. Salvo quando si è trattato di ribadire la tutela. Allora sì’, che sono arrivati in ospedale con baci e abbracci».

Non più di una settimana fa, davanti al presidente della Commissione Tutoria di Losone i Trotta e la moglie del loro figlio si sono ritrovati. Per decidere della tutela. E, ai Trotta, il presidente della commmissione svizzera ha dato compito di provare la regolare iscrizione all’asl italiana di Antonio, e la validità dei luoghi in cui prestare le cure. Secondo quel che prescrive la disciplina di tutela svizzera, cui Antonio è ancora sottoposto. E che i famigliari e il loro avvocato, Pierpaolo Cassarà, non riconoscono «Non è quello che chiederebbe l’Italia ad un cittadino italiano, come è Antonio». Ma per il padre Gerardo, comunque, la priorità è una sola: «Voglio che venga a casa a curarsi, perchè con noi può solo migliorare». A casa, dunque. In Italia. A tutti i costi.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Luglio 2007
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