«Mia moglie mi nasconde il figlio». Anche il bimbo chiede i danni
La donna non avrebbe consentito all'ex marito di vedere il piccolo. Ammessa per la prima volta la costituzione di parte civile per il ragazzino di 6 anni
La mamma non fa vedere il figlio al padre separato, scatta la denuncia e si va a processo. Ma oltre al papà, si costituisce parte civile anche il bambino, e il giudice accetta. Così il minore arriverà, tramite un legale, Antonella Vitale, a chiedere i danni alla madre per non aver visto il suo papà nel 2004. Una richiesta che probabilmente si articolerà in un libretto vincolato, in banca, da riempire fino a una cifra che, in caso di condanna, sarà stabilità nel processo.
Un risvolto inedito e paradossale quello che ha preso una causa iniziata oggi, venerdì 28 settembre, al tribunale di Varese, davanti al giudice Angela Minerva. Per la seconda volta in aula in due anni, una coppia “scoppiata” si è trovata a confrontarsi sulla potestà del figlioletto di 6 anni (è nato l’11 settembre 2001, il giorno dell’attentato alle twin towers). Il padre è un pediatra di 42 anni, la madre ha 36 anni, entrambi sono del varesotto. Si separano nel 2003, il bambino viene affidato alla madre, ma con l’obbligo di vedere il padre 2 week end al mese, e 6 pomeriggi infrasettimanali. I coniugi litigano, intanto la donna si trasferisce a Milano. Lui la accusa di averle nascosto il bimbo pr un anno, il 2004, e la denuncia. Nel 2006 un primo processo si conclude con una condanna a 300 euro di multa. Oggi inizia il secondo processo, per inottemperanza al diritto di visita.
«E’ una decisione nell’interesse del minore – spiega Luca Maranzana presidente dell’associazione dei padri separati di Varese – perché per la prima volta viene riconosciuto che non si tratta solo di un reato contro le decisioni del giudice, ma anche di un reato che danneggia il minore». Il processo, nel merito, è appena cominciato, ma la possibilità di vedere come parte civile il bambino, viene sbandierata come una vittoria dall’associazione dei padri separati , un sodalizio che riunisce circa 200 persone, e organizza 4 legali, 1 psicologo, 1 mediatore familiare; riceve 3 telefonate di media al giorno e sostiene di avere 15mila contati mensili nel sito internet. Il giudice ha negato all’associazione la costituzione di parte civile, poiché non è provata una ampiezza della azione delittuosa tale da giustificare il coinvolgimento di una intera categoria, in questo casi i padri separati dai figli. L’associazione è la seconda volta che cerca di entrare come parte civile in un processo e probabilmente ci proverà ancora. Il suo è solo un problema di rappresentatività della categoria, non è infatti infrequente che associazioni di categoria entrino in cause penali, basti ricordare, per citarne una, l’associazione tabaccai nell’omicidio Milani a Gallarate.
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