Due acquedotti salveranno Varese dalla grande sete
Nuovo piano contro la siccità: due impianti che partono dalla pianura e un serbatoio sotto il lago. La tariffa salirà del 75% in 10 anni
Siccità, incubo moderno. C’è finalmente un’idea per metterci al riparo dall’emergenza: due grandi acquedotti pubblici a Lonate Pozzolo e Saronno trasporteranno l’acqua dalle grandi falde della pianura ai comuni siccitosi del varesotto. E’ così che Varese placherà la grande sete che da 4 anni colpisce gli acquedotti comunali del nostro territorio. Un sorta di serbatoio profondissimo sotto il Lago Maggiore, poi, farà da riserva nei periodi di abbassamento delle falde permettendo alle stesse di ricaricarsi. Tutte indicazioni contenute nel piano d’ambito della "Autorità ambito territoriale ottimale", una sorta di parlamento degli acquedotti che l’11 dicembre si riunirà per esaminare l’idea.
Il piano costa 460milioni di euro e prevede diversi progetti, ma la parte che salta subito all’occhio è proprio quella dei due grandi acquedotti provinciali, le dorsali est e ovest, che sono state immaginate come un pronto soccorso che da Lonate Pozzolo salirà a Mornago, la prima, e da Saronno/Uboldo andrà fino a Carnago, la seconda.
Il motivo? E’ semplice, la zona di pianura della provincia è un vero serbatoio di acqua pulita. Merito di uno strato roccioso che scendendo verso Milano si inabissa lasciando il campo a grandi sacche di acqua in un terreno molto permeabile. Lo dice anche lo studio idrogeologico che ha realizzato l’Ato (l’autorità provinciale dell’acqua di cui fanno parte tutti i comuni), e che ha diviso la nostra provincia in tre zone omogenee: montana, pedemontana e di pianura. Basta leggere un dato per rendersi conto delle differenze. La metà dell’acqua estratta in provincia è nella pianura. E ancora: la quantità media di estrazione in pianura viaggia a 200 litri al secondo, mentre nella fascia pedemontana, intorno a Varese, è appena di 15 litri al secondo, e addirittura di soli 0,2 litri al secondo nella fascia montana del luinese.
Da qui l’idea: «Bisogna fare maggiori interconnessioni tra gli acquedotti già presenti – spiega Franco Taddei, direttore dell’Ato – e poi creare una nuova presa lago in profondità, nel Lago Maggiore, tra Ispra e Angera; infine costruire le due grandi dorsali che portino acqua dove non ce n’è, prendendola dove invece ce n’è tanta».
Non è l’unica novità: oltre agli acquedotti comunali ci sono già due acquedotti provinciali che saranno uniti: il Barza (quello che parte da Ispra-Barza e arriva a Galliate Lombardo), e l’Arnona (quello che va da Carnago a Venegono Inferiore).
E veniamo ai costi e a chi paga. Il grande piano delle acque che Varese si appresta ad affrontare avrà anche la depurazione, le fognature, gli ammodernamenti, e il costo di 460 milioni di euro sarà in qualche modo ammortizzato, sembra, con un innalzamento della tariffa media provinciale del 75%. Oggi è di 0,85 centesimi per metro cubo. Entro 10 anni, e progressivamente a salire, arriverà al massimo a 1,5 euro per metro cubo. Che è il costo medio previsto in Italia nel 2020. Troppo? Prima di protestare ricordate che incorporerà, secondo l’Ato, quei costi per investimenti che oggi i comuni tendono a tenere fuori dai bilanci degli acquedotti, facendoli rientrare nella fiscalità generale.
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