Il broker: “Non mi hanno picchiato ma erano armati”

Parla il varesino sequestrato sotto casa e rilasciato dopo una notte di angoscia

«Hanno suonato al campanello, dicevano di essere carabinieri che dovevano consegnare un atto – racconta Riccardo Cornacchia, il broker sequestrato ieri a Varese sotto casa – io sono sceso con i bambini, ero tranquillo non immaginavo nulla, pensavo di firmare una carta e poi di accompagnarli a scuola, quando li ho visti ho chiesto loro il tesserino. Mi hanno risposto ‘niente tesserino’, allora ho capito, ho mandato i bambini su in casa e …..».
Si fa prendere dalla commozione e non riesce più a continuare,  scarica la tensione di 24 ore al cardiopalma. Il broker varesino sequestrato parla di quello che gli è accaduto nello studio del suo legale, l’avvocato Brighina, accanto a lui il socio, che ha scambiato i soldi con i sequestratori e tiene al guinzaglio un cane molosso, e i legali. Racconta Cornacchia: «Volevano sapere di quella banca offshore  racconta- ma io non ho alcun debito con loro, chiariamo – aggiunge – io ho lavorato per tanti anni in Svizzera e negli Usa in società finanziarie, poi le autorità svizzere hanno chiuso la nostra società a Lugano e c’è un processo tutt’ora in corso, questo lo confermo ma noi lo abbiamo detto in tutte le sedi: quella banca non era nostra. E’ per questo, credo, che quella gente mi è venuta a cercare, perchè non capiva a chi era finita la banca. Sì, credo sia andata così: Le autorità ci accusano di averla gestita, la cosa si viene a sapere e quelli vengono da me, e me li trovo sotto casa con la pistola».
Cornacchia parla poi della giornata sotto sequestro: «Adesso sto bene, ma potete immaginare come stia uno che ha visto due uomini armati portarlo vie e tenerlo chiuso in una casa per un giorno. Non mi hanno fatto del male, ho visto che uno aveva una pistola, forse una semiautomatica, mi tenevano in questa casa ma non mi hanno legato, stavo lì, potevo muovermi. Mi facevano delle domande sulla banca, poi hanno chiamato il mio socio e gli hanno fatto le stesse domande, hanno visto che le nostre versioni erano uguali. Mi hanno anche rassicurato in diverse occasioni, hanno detto che non mi avrebbero fatto del male, mi hanno fatto chiamare col telefonino».

E infine la liberazione: «A un certo punto, mi hanno detto che dovevamo andare via, hanno fatto armi e bagagli, e mi hanno detto che non mi sarebbe successo nulla ma che dovevano andare via. Abbiamo fatto la statale verso Como, ho chiesto io che mi lasciassero a Cernobbio a quella rotonda, sono entrato nell’hotel e ho chiamato, pensate che non immaginavo nemmeno che la polizia che mi cercasse, l’ho capito solo quando lo ho visti arrivare a Cernobbio… ».

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Pubblicato il 22 Aprile 2008
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