Processo Uva, il superteste Biggiogero smentito dal padre

Caso Uva, il controesame delle difese è stato teso. Il teste ha ammesso di fare uso di droghe e si è dichiarato un "tossico indipendente". Il genitore ha però dato una versione di quella sera completamente diversa da quella del figlio

Dopo aver ascoltato per due volte, in udienza, Alberto Biggiogero raccontare le ultime ore di Giuseppe Uva; una cena, una doccia, Giuseppe che prende i pantaloni puliti, due chiacchiere e la partita della nazionale; ecco che si scopre che quella cena non è mai avvenuta. O comunque, non quella sera. E in ogni caso, non in quelle modalità. Ferruccio Biggiogero, il padre del supertestimone, ha raccontato una versione molto diversa di quanto accadde poco prima che Alberto Biggiogero e giuseppe Uva fossero fermati dai carabineri mentre ululavano ubriachi in via Garibaldi a Varese.

La sera del 14 giugno 2008, Alberto e Giuseppe erano a cena a casa dai genitori di Alberto, in viale dei Mille, e non nell’appartamento di via Turati dove viveva il giovane. Tutti insieme guardarono una partita della nazionale di calcio. Con questa ricostruzione, fatta per due volte, a domanda sia della procura che degli avvocati, accade una cosa clamorosa in questo processo. Il padre, interrogato, smentisce la versione del figlio, e in sostanza tutto quello che ci ha raccontato il supertestimone, sulla cena a casa sua, risulterebbe falso. Delle due l’una: o Ferruccio Biggiogero ha detto una cosa errata, o l’ha detta Alberto.

BIGGIOGERO SI CONFONDE

L’avvocato Luca Marsico, legale della difesa, commenta: "Il padre ha smentito tutto quello che ha detto il figlio – osserva – Alberto sotto giuramento aveva detto che lui e Giuseppe Uva avevano cenato in via Turati, e che Uva si era fatto la doccia, invece è un film diverso. Il padre Ferruccio Biggiogero inoltre ha dichiarato che quella notte, quando Alberto lo chiamò dalla caserma dei carabinieri, era tranquillo e diceva che non c’era nessuna fretta. Ebbene, Ferruccio Biggiogero è stato nel piazzale in via Saffi per 10 minuti e non ha sentito nulla, nessun urlo. Mentre arrivava lui, arrivava anche il medico, gli orari sono quelli che ha indicato la procura e che dunque appaiono confermati".

BIGGIOGERO NON VIENE IN AULA

Marsico continua:  “Il racconto del testimone si scioglie come neve al sole, perché parte da un presupposto falso.  Non è vero che lui e Giuseppe hanno cenato a casa di Alberto, non è vero nulla di quello che ci ha raccontato su quella circostanza".

E’ terminata così una udienza che aveva visto per oltre 6 ore parlare Alberto Biggiogero, il ragazzo che da 6 anni sostiene che Giuseppe Uva sia stato picchiato da 6 poliziotti e 2 carabinieri.

LA TESTIMONIANZA
Il secondo round della testimonianza era stata, come la prima, poco lineare e a tratti contraddittoria: questa volta il teste ha resistito sino alla fine, non ha avuto malori e ha potuto terminare il suo compito in questo processo. Certo, le sue versioni dei fatti, come nella prima deposizione, non sono state sempre univoche, a cominciare dalle parole pronunciate nelle prime due ore, in ordine alla denuncia che Biggiogero fece per rendere noto che, a suo parere, l’amico Giuseppe Uva fu picchiato.

Le difese lo hanno messo alle strette, facendo emergere tutti i suoi limiti di affidabilità: le parti civili lo hanno difeso cercando di ammorbidire l’impatto delle domande su di lui, anche se ci sono solo parzialmente riuscite.

Il teste, ad esempio, ha detto di aver fatto la denuncia per la morte di Giuseppe Uva nello studio dell’avvocato Battaglia di Varese, ma poi ha riferito di averla fatta solo in ospedale al posto di polizia, salvo nuovamente affermare di averne fatte due. L’esame è stato lunghissimo e si è concluso nel pomeriggio.

Alberto ha ammesso di aver fatto uso di droghe fin dall’età di 16 anni, ma con una battuta si è definito “tossico indipendente” perché ogni tanto farebbe delle pause nell’assunzione.

Gli avvocati delle difese hanno cercato di sottolineare tutti quegli aspetti che per anni sono stati definiti sospetti dalla stampa che ha sostenuto il caso. Ad esempio l’avvocato della difesa, Mancini, ha ricordato in aula che Giuseppe Uva era stato ricoverato due volte per le emorroidi, nel 2002 e nel 2005, e che nel 2007 si era spaccato il naso cadendo in discoteca.

Dunque il fatto che nella perizia si parli del sanguinamento sui pantaloni dovuto alle emorroidi trova un precedente storico. Sul movente dell’omicidio preterintenzionale, ancora una volta è buio fitto. Non appare da nessuna parte, la storia della relazione della vittima con la moglie di un carabiniere. Biggiogero ha ribadito di non poter dire se l’amico ne frequentasse la moglie, un riferimento che ancora una volta sembra essere frutto solo di una diceria di seconda mano. Inoltre ha sovente confuso i due carabinieri, sostenendo persino che hanno forse firmato i verbali l’uno per l’altro. 

Il teste ha poi risposto alle domande delle difese, che gli hanno ricordato come nel 2013, dopo un ricovero psichiatrico a Milano, disse di avere allucinazioni visive e uditive: “Ma lo dissi per scappare dalla mia convivente” ha riferito in aula. Nel tardo pomeriggio è stato ascoltato Ferruccio Biggiogero, il padre di Alberto, che quella notte lo andò a prendere in caserma e lo sgridò. E c’è stata la clamorosa rivelazione. 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Dicembre 2014
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