Caso Uva, cosa dicono le carte processuali

Un poliziotto denuncia il film. Ieri sera nuovo passaggio tv per Lucia Uva e l'avvocato Anselmo. Ecco i punti evidenziati dai parenti e cosa dicono invece le carte

Uno dei poliziotti coinvolti nella vicenda Uva ha querelato il film “Nei secoli fedele”, un documentario sulla morte del 43enne varesino, per aver utilizzato indebitamente la propria immagine filmata, durante un convegno, senza il suo consenso. E’ l’ultimo passaggio giudiziario di questa complessa vicenda, che ieri sera è tornata ancora in tv. I punti salienti dell’inchiesta, ieri sera, hanno avuto un altro momento televisivo, alla trasmissione di La7 Linea Gialla. Presenti Lucia Uva, l’avvocato Anselmo (che pare sarà interpretato da Pierfrancesco Favino nella fiction tv sul caso Aldrovandi), Ilaria Cucchi, la criminologa Roberta Bruzzone.

COSA DICONO LE CARTE PROCESSUALI
La Uva e l’avvocato Anselmo hanno ribadito, anche in questa occasione, la loro linea processuale, e cioè che Giuseppe Uva potrebbe essere stato picchiato, e che la procura di Varese, con il pm Abate, ha personalizzato eccessivamente il fascicolo che, secondo loro,  rischia di finire in prescrizione. In studio, sono state mostrate le fotografie del cadavere, che evidenziano, apparentemente, lividi ed escoriazioni. L’interesse mediatico per la vicenda si è riacceso, alimentato, tra l’altro, dalla politica (il ministro Cancellieri ha chiesto di valutare un’azione disciplinare contro il pm titolare del fascicolo) e da alcuni parlamentari che sembrano aver preso a cuore il caso.
La mediaticità del caso corre su un binario parallelo rispetto a quanto sta accadendo in tribunale a Varese: entro la fine dell’anno, infatti, il pm dovrà depositare gli atti delle nuove indagini che il gip Battarino ha chiesto con una sua puntale ordinanza. La versione della parte civile, esposta in tv, è chiara, ma nelle carte giudiziarie è tutto più complesso. Le crude fotografie del cadavere sembrano un po’ in contrasto con le conclusioni della prima autopsia che non rilevò segni di violenza sul corpo. La successiva perizia del tribunale, ordinata dal giudice del processo di primo grado a uno psichiatra accusato di aver somministrato un eccesso letale di farmaci in ospedale, ha stabilito che Uva non aveva fratture, delineando un “evento morte” complesso, dettato da un problema cardiaco congenito, e da un acuta fase di stress, ma senza indicare che cosa l’abbia determinato. Per la perizia del tribunale, inoltre, le macchie di sangue sul dorso di una mano e sulle ginocchia erano escoriazioni superficiali. La domanda è: lividi che si vedono in tv sono i segni delle botte o le macchie ipostatiche del cadavere in obitorio?
Un altro punto confuso è la presenza di un pannolone sul corpo e il sangue nel cavallo dei pantaloni. I carabinieri e i poliziotti hanno querelato Lucia Uva e la trasmissione tv Le Iene perché affermarono che Giuseppe era stato violentato. La perizia del tribunale è stata molto prudente: ha stabilito che la vittima aveva una forma seria di emorroidi e che il sangue trovato sul cavallo dei pantaloni, proveniente dall’ano, poteva essere con buona probabilità dovuto a un prolasso delle emorroidi senza però escludere del tutto la possibilità di un evento traumatico, anche lieve. Un altro punto forte denunciato da Lucia Uva è la famosa telefonata con cui Alberto Bigiogero, il ragazzo fermato con Uva quella notte, avvisò il 118 che in caserma: “Stanno massacrando un ragazzo”. Perché non è stato mai interrogato? Il pm Abate non l’ha mai ascoltato, ma ha messo a verbale la sua memoria sulla vicenda. Bigiogero e Uva quella notte erano ubriachi, e il primo non si trovava nella stessa stanza di Uva. Per la procura probabilmente non è mai stato ritenuto pienamente attendibile. E’ stato un arresto illegale? Secondo il giudice del primo processo, Orazio Muscato, quello che accadde in caserma va ancora chiarito. Il tribunale ha segnalato i suoi dubbi sull’inchiesta, ma nella stessa sentenza si legge che, in realtà, Uva rimase in via Saffi per poco tempo. I due amici, Giuseppe e Alberto, vennero bloccati in via Dandolo alle 3 di notte e portati in caserma. Ma già alle 4 e 15 arrivò il dottore della guardia medica chiamato dagli stessi carabinieri. Da quel momento, e fino alla morte in ospedale, alle 11 e 10 di mattina, i carabinieri non furono mai soli con Giuseppe Uva.  

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Pubblicato il 10 Dicembre 2013
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