Dal “barrino” a Varese, il racconto di Marco Malvaldi
Nella seconda serata del festival lo scrittore pisano racconta la piccola provincia dove tutti si conoscono (come a Hollywood), il mestiere dello scrittore, lo zio che si chiamava Varese e il Nobel surfista
Tra una caustica sentenza sui vicini livornesi e un aneddoto sul Nobel surfista Kary Mullis, Marco Malvaldi ha conquistato il pubblico della seconda serata di GlocalNews, al Teatro Santuccio: un pubblico affettuoso e curioso, venuto ad incontrare l’autore che ha scelto il mestiere di scrivere andando al di là di una carriera da ricercatore iniziata alla Normale di Pisa. E molto di scienza ha parlato Malvaldi, nel dialogo quasi familiare con il vicedirettore di VareseNews Michele Mancino e con il pubblico (che qua e là pareva una riunione della diaspora toscana a Varese): seguendo il filo del suo recente volume Capra e Calcoli, scritto con Dino Leporini e dedicato a quella strana intelligenza ignorante che è il computer. «Il Novecento è il secolo delle invenzioni italiane: la dinamo di Pacinotti, la radio di Marconi, motore a scoppio di Matteucci; ggi siamo il Paese di Mario Balotelli ed Eros Ramazzotti. Siamo un Paese che non ha materie prime, ma abbiamo cervelli, ma questi vanno coltivati». Dal paradosso dell’ignoranza che spinge alle risposte giuste (l’euristica del riconoscimento) all’appello a immaginare la cultura come realtà creativa: «La cultura non deve essere un peso: ragionare non è una tortura, è ciò che ti rende vivo».
Accanto all’uomo di scienza prestato alla letteratura, c’è anche il pisano di provincia, quella descritta nei romanzi ambientati sul litorale tirrenico, la provincia dei pensionati e del barrino dove trascinare i pomeriggi. E c’è una storia di famiglia tratteggiata tra motti di spirito e aneddoti, dal prozio di nome Varese (per memorie risorgimentali, come il fratello Trieste?) al rapporto con la religione che in famiglia «è un carattere recessivo»: «avevo un bisnonno molto religioso che ha avuto figli molto atei, che a loro volta ebbero figli molto religiosi, che hanno avuto figli bestemmiatori». Nipote di contadini e ferrovieri e figlio di un preside di facoltà, Malvaldi nel 2007 ha scelto il mestiere di scrittore, spinto dalla passione e dalla puntigliosa ricerca di Antonio Sellerio: «Mi ha detto "Prenditi le tue responsabilità"». Racconta l’exploit editoriale di Odore di Chiuso, «il libro che mi ha fatto svoltare» attraverso una ricerca un po’ imposta e un po’ figlia della curiosità: «volevo scrivere il giallo Tre uomini a caccia, ambientandolo in Inghilterra vittoriana, con gli stessi protagonisti di Tre uomini in barca. Antonio Sellerio mi ha detto di cercare un autore italiano, di fine Ottocento, grande umorista. Italiano, fine Ottocento, grande umorista: in matematica, un insieme vuoto. Poi ho ritrovato per caso l’Artusi: italiano, di fine Ottocento, grande umorista». Fonte di ispirazione e anche fortunatissima coincidenza editoriale: «Avevo presentato le bozze quando mancava poco al centenario di Artusi. Di solito ci vuole un anno per uscire: una settimana dopo che avevo consgenato le bozze me le hanno rimandate, con l’invito a far presto per uscire a gennaio 2012». Il successo di Marco Malvaldi trova le sue radici forse anche nella dimensione delle librerie indipendenti, che una parte hanno avuto nel farlo conoscere, insieme ai piccoli volumi Sellerio dalla carta blu: «In Italia escono 40mila titoli nuovi l’anno, già il fatto che il libraio lo metta sugli scaffali è un privilegio. Ma il librario indipendente vende credibilità e diventa una garanzia per il lettore: ad Asti c’è un libraio che credo non faccia uscire i clienti senza in mano il mio libro».
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