“Ho pagato sulla mia pelle la decisione di collaborare”

Un imprenditore racconta come nel 2001 Mario Filippelli e altri esponenti della "locale" di Legnano-Lonate Pozzolo gli hanno imposto il pizzo. Dalla prima telefonata alla collaborazione con i carabinieri: «Ora rivoglio i miei soldi, la speranza l'ho persa allora»

Quello che vi riportiamo di seguito è il racconto di un commerciante vittima della locale di ‘ndrangheta che ha spadroneggiato a Lonate Pozzolo e Legnano negli ultimi 15 anni. La sua storia risale al 2001 e racconta uno spaccato di come, già dieci anni fa, gli stessi personaggi arrestati nelle indagini "Bad Boys" e "Il Crimine" tenessero sotto scacco diversi esercizi commerciali, in particolare bar e ristoranti, in tutta la provincia di Varese. Ecco il racconto che ci ha fornito all’interno dello studio dell’avvocato Marrapodi che difende la parte civile nel processo Bad Boys. All’interno delle centinaia di pagine dell’ordinanza relativa all’inchiesta che portò all’arresto di 39 persone nel marzo del 2009, è contenuta anche parte di questa storia.

"A Varese ho comprato un locale, un piano bar, insieme ad un socio e ho assunto un barista. Era il 2001 e ricordo che l’attività partì bene, la gente veniva ed era contenta. Per i primi 4 mesi tutto è filato per il verso giusto. Una sera ricevemmo una telefonata, io non ero al bar perchè ho anche delle altre attività e dopo questa telefonata tutto è cambiato. Il mio socio si è molto spaventato perchè aveva riconosciuto chi lo aveva chiamato, era Mario Filippelli.
Sia il mio socio, sia il barista lo conoscevano mentre io non sapevo assolutamente chi fosse. Entrambi lo avevano conosciuto a Lonate Pozzolo anni prima, quando frequentavano i bar di quella zona per il gioco delle carte. Questo personaggio era molto conosciuto nei bar e la sua fama lo precedeva ovunque andasse. Dopo circa tre settimane da questa telefonata si presenta un tipo, attorno alle 11,30 di sera, io non c’ero perchè andavo al locale solo per la chiusura conti al sabato o alla domenica. Si presenta questo personaggio accompagnato da due stranieri e con una Mercedes parcheggiata all’esterno con altri due uomini. Fa una richiesta: ‘se il locale deve andare avanti bisogna paghiate una cifra’. A quel punto il mio socio cerca di spiegare che il locale non è il suo e che il proprietario era un’altra persona ma i modi dei tre presenti nel locale erano piuttosto minacciosi e se ne andarono dicendo che sarebbero tornati la sera appresso.

Il sabato si ripresentarono in sette, al locale, con due macchine. Il capo aveva un lungo cappotto nero ed io, avvisato dal barista e dal mio socio, lo accolsi nel mio ufficio. Sapendo con chi mi trovavo ad avere a che fare mi preparai, avevamo preparato dei bastoni per farci trovare pronti alla rissa. ‘Se vuoi andare avanti a lavorare mi devi dare il 50% del tuo fatturato’, poco dopo mi mostrò il calcio di un fucile che teneva nascosto sotto il cappotto. La mia risposta fu secca “ se voi ragionate così, domani mattina chiudo il locale”. Avrei perso dei soldi ma a quel punto non mi importava più nulla. “Guardatevi le spalle”, fu la sua risposta.

Meno di una settimana dopo richiama Flippelli: ‘Ho saputo che avete avuto dei problemi – dice al barista che aveva risposto al telefono – io ve li posso risolvere. Fissate un incontro tramite mio fratello Pietro che ha il cirolo a Lonate’. Appena mi venne riferita questa telefonata decisi di rivolgermi ai Carabinieri di Gallarate e lì il comandante di allora, insieme al capo del Nucleo radiomobile si mossero per ricevermi, raccontai delle telefonate e della visita al bar ma la risposta fu: ‘Faccia una denuncia’. Preso dallo sconforto, ebbi la fortuna di incontrare un mio amico carabiniere che mi vide preoccupato e mi chiese cosa mi fosse successo. Gli raccontai tutta la storia e mi indicò due suoi colleghi del nucleo operativo di Varese che mi proposero una collaborazione. Acconsentii e mi feci mettere delle microspie addosso ogni volta che incontravo Filippelli.

Rinfrancato da questo appoggio decisi di incontrare il Filippelli, così come lui aveva richiesto e organizzai un incontro a casa sua a Lonate Pozzolo, accompagnato dal mio barista. Giungemmo sotto casa sua scortato da un’altra auto, come nei film, era l’ultimo piano di un condominio dirimpetto alla caserma dei Carabinieri di Lonate. Sotto l’abitazione trovammo altri tre elementi tra i quali Giuseppe Russo, ucciso in un bar a Lonate Pozzolo qualche anno dopo, che ci portarono all’appartamento all’ultimo piano. Ci sedemmo al tavolo con Filippelli, circondato dal fratello Franco, l’altro fratello Pietro e Giuseppe Russo. Mi propose di levarmi dai piedi il personaggio che mi aveva richiesto il pizzo dicendomi che poi, ogni tanto, sarebbe venuto a trovarmi. Tutto è iniziato così.

Una volta uscito da quell’appartamento entrammo in quello affianco dove il mio barista si spaventò perchè intravide Nicodemo Filippelli, un altro nome noto a Lonate appartenente alla cerchia più alta della locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo. Io non lo conoscevo e non avevo nessuna idea di che cosa accadesse in quel paese. Andammo via poco dopo.

Dopo una settimana Mario Filippelli chiese al nostro socio di andare a prenderlo a casa per portarlo al locale. Successivamente divenni io il suo autista. Anche gli stessi carabinieri di Varese, con i quali ero in contatto continuo, rimasero sorpresi quando gli raccontai della sua libertà di movimento.

Filippelli si portò appresso un nugolo di tirapiedi che mi rovinavano la clientela del locale. Arrivavano, bevevano, facevano casino e non pagavano. Piano piano si stavano insinuando nella mia attività prendendosi sempre più libertà. Tra questi personaggi notai anche Bonsignore, l’uomo che mi venne a chiedere il pizzo e dal quale Mario mi aveva promesso di liberarmi. La situazione del locale andava lentamente degradando fino a quando riuscii a convincerlo a non portarli più. Scendemmo ad un compromesso per il quale mi lasciò in pianta stabile prima Giuseppe Russo e poi suo fratello Pietro. Proprio quest’ultimo mi creò un sacco di problemi e una sera si presentò con altri 3 armati tutti di pistola. Un’altra volta prese a sberle il mio socio e lo invitò a levarsi di mezzo, cosa che lui fece lasciandomi solo, in balia di quest’accozzaglia di delinquenti.

Da quel momento cominciò a definirsi il mio socio, nonostante non avesse alcun titolo per esserlo. Ogni sera svuotava il cassetto e fece così per 4 mesi, fino alla chiusura del locale. In un anno accumulai un sacco di debiti che ho finito di pagare solo pochi giorni fa. Questo giochetto mi è costato 280 mila euro con gli interessi. Con i Carabinieri organizzammo tre appostamenti per farlo arrestare in flagranza di reato mentre consegnavo i soldi ma in nessuna di quelle occasioni ho visto arrivare un uomo in divisa ad arrestare Mario Filippelli.

Chiusi il locale nel novembre di quell’anno e cercai di liberarmene vendendolo ad un autotrasportatore che lavorava con me per soli 25 mila euro. Filippelli venne a sapere anche di quei soldi e cercò di sfilarmeli ma, almeno quelli, sono riusciti a salvarli. Gli feci bloccare gli assegni tramite i carabinieri e quando i militari di Lonate Pozzolo si presentarono da lui per la questione degli assegni che lui aveva cercato di incassare lui mi chiamò al telefono chiedendomi cosa avessi combinato. Mi diceva che lui sapeva tutto, delle microspie che gli piazzavano intorno, sapeva in anticipo quando lo avrebbero arrrestato e sapeva anche chi conduceva le indagini alla Procura di Busto Arsizio, informazioni che io non ero riuscito mai a reperire.

Ora voglio indietro i miei soldi e basta. Ho lavorato giorno e notte negli ultimi 10 anni per ripagare i debiti che ho fatto con le banche. Qui hanno giocato tutti con i miei soldi e io e la mia famiglia abbiamo pagato per tutti. Mia moglie, che era al corrente di tutto, è andata in depressione e ha rischiato la morte. Io sono finito in ospedale per un’amnesia totale che mi è durata 6 giorni. Sono arrivato al punto di pensare le peggiori cose, anche uccidere. E non si venga a dire che qui c’è l’omertà, io ho pagato sulla mia pelle la decisione di collaborare. Ora li hanno arrestati, è vero, ma io ho sofferto l’inferno in terra in questi anni e ancora non mi è stato riconosciuto nulla dallo Stato. Rivoglio i miei soldi, la speranza l’ho persa allora.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Luglio 2010
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