Il pelobate fosco e l’antipatica Ludwigia

La prima tappa nei corridoi ecologici che permettono la biodiversità soprattutto fra i piccoli animali. L’obiettivo? Tenerci strette le specie a rischio ed evitare la colonizzazione di quelle aliene

muro secco

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Muri a secco, stagno e lotta alla Ludwigia 4 di 18

Le auto sono a pochi metri, sfrecciano veloci nel mattino ricco di nebbia e umidità per via del lago, che sta lì sotto. C’è qualcuno che corre sulla pista ciclabile senza guardare nè ascoltare i rumori della natura che si mischiano con quelli della fretta. Lì, in un prato, un muro tenuto in piedi sasso su sasso. Niente di nuovo? Non proprio: quel muro contiene mille anfratti, posti dove decine di specie trovano riparo. E’ una delle opere realizzate nel corso del progetto Lifetib, per la protezione dei corridoi ecologici che servono agli animali. A tutti. Non solo ai cervi, che a volte si perdono nei tragitti fuori dal loro ambiente naturale, o alle volpi che cercano da mangiare vicino alle case e diventano la notizia del giorno. No. Questo, che è un ambiente, ha la grandezza di un microcosmo. La biodiversità non si trova solo nei mammiferi, ma riguarda anche e soprattutto le specie che meno si muovono, quelle che vanno protette dall’estinzione e aiutate a resistere in spazi di poche centinaia di metri. A volte, anzi, è questione di pochi metri, o centimetri.
Ecco a cosa serve un muretto a secco: un tempo le pianure, ma anche le propaggini delle prime alture pedemontane ne erano piene: poca spesa e materiale del luogo come sassi e selciato potevano assicurare un buon viatico per delimitare una proprietà o fermare un terrazzamento o un terrapieno. Così i rettili, ma anche alcune specie di uccelli nidificavano, o cacciavano, proprio in prossimità di questi muri a secco, che oggi vengono creati apposta per assolvere a una funzione vitale. Nei boschi del Varesotto ve ne sono ancora, magari diroccati. Ma in altri punti sono spariti.
Qui siamo fra Schiranna e Capolago, all’altezza del ristorante il Passatore: assieme a Massimo Soldarini, di Lipu e Sara Barbieri, della Provincia di Varese, partiamo alla scoperta di mondi inaspettati e alla portata di tutti, se solo vi fosse la voglia di imparare e conoscere facendo poche decine di passi.

pozza pelobate

Seguendo il muro che degrada verso la campagna ci si trova di fronte ad un prato che permette di arrivare alla fascia boschiva che anticipa il lago.
Qui c’è il segno di un altro intervento realizzato per salvare gli anfibi: una pozza d’acqua (foto sopra). Cosa sarà mai una pozza d’acqua? Rispondere a questa domanda non è difficile: basta aspettare la stagione primaverile per chiederlo alle centinaia di migliaia di uova depositate dalle rane in queste pozze, che vengono ottenute senza sacrificare neppure un albero. Tutto sta nello studiare i punti chiave di questi ambienti e servirsi degli avvallamenti, anche minimi, offerti dal terreno. Poi vengono stesi due teli e nella depressione che si crea trova posto qualche spanna d’acqua che diventa la casa delle rane o di altri anfibi che scelgono il bosco come rifugio nella stagione invernale, quando si interrano, ma che poi durante la riproduzione hanno bisogno di uno specchio d’acqua per far nascere le nuove generazioni. In altri contesti viene sfruttata direttamente la falda acquifera, affiorante appena si scava, per assicurare un piccolo stagno molto importante per il Pelobate fosco, un anfibio che si nutre di piccoli invertebrati e insetti e che a sua volta è cibo per uccelli, rettili e piccoli mammiferi. Una catena alimentare che se interrotta produce squilibri ai danni della biodiversità, la maggiore ricchezza che possiede un territorio.

ludwigia

Una ricchezza che va difesa a volte andando…alla radice del problema. Per questo ci spostiamo di pochi chilometri, questa volta proprio in riva al lago per raccontare l’ultimo intervento di questa prima tappa. Si arriva in un punto magico: l’incontro fra lago e fiume al confine fra Bardello e Gavirate per trovare Ludwigia.
Ludwigia hexapetala, e Fior di loto sono due piante “aliene”: provengono dall’oriente e causano danni alle sponde del lago perché sottraggono spazio alle specie autoctone, come la Ninfea bianca e il Nannufero. Ma non solo: anche i pesci sono in difficoltà a causa delle radici della Ludwigia: un intrico subacqueo che priva della luce i fondali. Questa modifica degli habitat penalizza fortemente anche diversi uccelli, tra cui Tarabuso, Airone rosso, Moretta tabaccata e Nibbio Bruno. Gli interventi per sbarazzarsi di queste piante sono diversi e riguardano la loro posizione: possono colonizzare le sponde, o convivere con altre specie, a cui si deve prestare attenzione.
Attraverso il progetto LifeTIB si procede ad un protocollo di sperimentazioni per la rimozione di Fior di loto e di Ludwigia hexapetala in Palude Brabbia e nel Lago di Varese.

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Pubblicato il 24 Ottobre 2014
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