L’alpino Angelo, da Bardello alle nevi di Russia

Cornelio Giuliani ha impiegato anni per ricostruire la storia di suo fratello, disperso in Russia dopo il 26 gennaio 1943. Il giorno in cui gli alpini riuscirono ad aprirsi la strada verso casa con la battaglia di Nikolajewka

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“Qui da qualche giorno sta nevicando, il freddo non si fa sentire tanto intenso. Solo qualche giorno prima che nevicasse, il barometro è sceso a circa trenta gradi sotto zero…”

L’alpino Angelo Giuliani, il 23 di novembre del 1942, era a tremila chilometri da casa. Tremila chilometri la distanza dall’ansa del Don al suo paesino sulle colline varesine, Bardello. Poco più di due mesi dopo quella lettera, nel mezzo della tragica ritirata dal fronte russo, Angelo Giuliani scomparve nei dintorni di Nikolajewka, nel giorno più drammatico della campagna di Russia, la battaglia costata la vita a tremila uomini, per aprirsi la via verso casa. Il 26 gennaio 1943.

La cassetta di legno
Bardello, gennaio 2014. Sul tavolo della cucina, Cornelio Giuliani ha portato una cassetta di legno. Cornelio era un ragazzino, quando suo fratello Angelo partì per la guerra: oggi conserva nella cassetta tutto il ricordo – lettere, foto e documenti – di Angelo, mai più rivisto. «Lui scriveva tutti i giorni. Non tutto abbiamo tenuto, perché non si immaginava che faceva una fine del genere», dice, mentre apre i pacchi di lettere. «Era rimasto disperso, dopo la guerra. A mia madre hanno dato un acconto della paga, metà dei soldi che avrebbe dovuto prendere al ritorno». Per decenni l’ultimo destino di Angelo è rimasto misterioso, al di là della Cortina di Ferro. Poi la caduta del Muro di Berlino e i “mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est” nel 1989-91 hanno riaperto le possibilità di ritrovare un sentiero della memoria, nelle enormi distese di steppa e campi a ridosso del fiume Don. «Dopo 50 anni la professoressa Federica Lucchini – racconta Cornelio – mi ha portato un libro su un soldato  scomparso durante la campagna di guerra in Grecia e mi ha proposto una cosa simile. Pian piano con la documentazione e le lettere abbiamo fatto il libro». Il volumetto “Insieme per ricordare”, curato dal Gruppo Alpini di Bardello, uscì nel 1996.

Cavalli otto – uomini quaranta
Dalla casa di Bardello, Angelo era partito per il militare il 21 marzo 1940, chiamato alle armi prima dell’inizio della guerra con la Francia e l’Inghilterra. Arruolato nella 124° Compagnia Artieri, Battaglione Misto Genio della Divisione Alpina Cuneense, era finito prima sul fronte del Col Maurin, nella breve guerra contro la Francia, poi in Albania meridionale, a costruire strade in appoggio alla già disgraziata spedizione italiana contro la Grecia, dove l’armata di alpini, fanti e camice nere era rimasta vittima di controffensive nelle aspre valli dell’Epiro. Da lì la Divisione Cuneense era rientrata in Italia per un periodo: nel 1942 nel paese di Peveragno, vicino alle valli cuneesi, Angelo conobbe anche Maddalena, la ragazza a cui scrisse poi per mesi dalla Russia. Alla famiglia, a Bardello, scriveva preoccupandosi della stagione agricola o raccontando della speranza di rimanere in pari con lo studio. Nelle sue lettere chiedeva alla famiglia di fargli dei guanti nuovi “di pelle di coniglio o di pecora” e “una specie di passamontagna”, forse perché sentiva che il vestiario che era stato fornito dall’esercito sarebbe stato insufficiente.
“Cavalli otto – uomini quaranta”, c’era scritto sui vagoni ferroviari dei militari in partenza per la Russia: il 10 agosto del 1942, anche Angelo salì su un carro merci della tradotta in partenza dalla stazione di Cuneo.

Lettere dall’ansa del Don

“Finalmente questo treno si è stancato di viaggiare e si è deciso a fermarsi in una stazione dopo tredici giorni di viaggio…”
(lettera di Angelo, 22 agosto 1942)

Il viaggio per arrivare sul fronte del Don era stato lungo, lunghissimo, prima in treno, poi ancora a piedi. Man mano che si avvicinava al fronte, il geniere alpino venuto da Bardello aveva a che fare anche con i bombardamenti aerei: “Gli apparecchi ci sono dal mattino alla sera e dalla sera alla mattina, ma noi non ci facciamo più caso”, scriveva Angelo alla sua famiglia, l’11 ottobre. “Siamo sempre allegri, cantiamo e scherziamo continuamente come se ci fosse un apparecchio radio sopra di noi, non un aeroplano. Perciò vedete che la malinconia non esiste in questi posti”.

 

Era la fiducia che ancora resisteva alle fatiche o era forse per evitare la censura militare, che cancellava le frasi critiche o disfattiste? Le lettere spesso sono segnate dalle pennellate d’inchiostro dei censori, per impedire di leggere alcune frasi (nella foto a destra). Solo in un caso, nelle lettere di Angelo Giuliani, una frase cancellata dalla censura militare e fascista è leggibile: “Solo il pane è brutto sembra quel pastone delle galline ancora più nero”, scriveva il 24 agosto Angelo alla famiglia. Arrivati sul fronte, i genieri presero posizione erano nei dintorni di Nowo Kalitwa, dove il fiume Don disegna un’ampia ansa, tra le sponde alte, su cui stavano i due eserciti: da un lato i russi che difendevano la loro Patria, dall’altra i fanti e gli alpini italiani, mandati a combattere la guerra imposta dal fascismo.

campagna di Russia
Genieri della 124° Compagnia, IV Misto Genio, impegnati nella posa di mine

Cercando il tenente fotografo
«Mio fratello non ha mai detto i posti dove si trovava, nè i nomi dei suoi ufficiali», racconta oggi Cornelio (nella foto), nella sua casa di Bardello. La mancanza di riferimenti era un ostacolo per la ricerca, per capire dove fosse passato, con chi avesse vissuto la Russia e poi la ritirata. «Uno dei tenenti della sua compagnia era di Angera e non l’abbiamo mai saputo, per esempio. Poi io ho messo una inserzione sul giornale L’Alpino ed è venuto fuori un alpino di Besozzo, Binda, che a sua volta si ricordava il tenente Grignaschi, che era di Novara». L’incontro con il tenente – che pochi anni dopo avrebbe pubblicato le sue dettagliate ed illustrate memorie di Russia – si è rivelato fondamentale: «L’ho chiamato un pomeriggio al telefono e mi sono presentato» racconta Cornelio. «Gli ho spiegato e ho chiesto, lui mi disse che non ricordava mio fratello. Ma dopo poco tempo poi mi ha richiamato, dicendo che forse aveva delle sue fotografie. Da li è venuto fuori anche il nome di un soldato che aveva dormito vicino a mio fratello fino all’ultima notte prima delle ritirata, poi venne fuori anche il nome di un tenente della Liguria».

Gli ultimi giorni di Borgo Gesso
Pasquale Grignaschi, tenente di complemento (non di carriera, ma richiamato) era nato nel 1914, in Russia guidava il terzo plotone della 124° compagnia (nella foto). Figlio di un appassionato fotografo di Novara, ha documentato la vita del suo gruppo di soldati con un diario e soprattutto grazie alla sua macchina fotografica Zeiss Ikon. I rullini scattati in Russia sarebbero andati persi quasi sicuramente, se poche settimane prima della ritirata dal Don, a inizio dicembre 1942, Grignaschi non li avesse affidati ad un commilitone, un tenente di Genova che rientrava in Italia per una licenza per esami universitari e che riportò le pellicole a Novara.
Sulle sponde del Don i genieri alpini lavorarono duro per costruire le fortificazioni affacciate sulla valle del fiume, e subito alle spalle edificarono un “villaggio” fatto di case di tronchi, le “isbe” tipiche delle steppe tra Russia e Ucraina. Lo battezzarono “Borgo Gesso” (nella foto: i genieri del terzo plotone, Angelo Giuliani è l’alpino in alto a sinistra). A dicembre, però, gli attacchi dei russi sulle linee italiane si fecero sempre più intensi: “Siamo a pochi giorni dal Santo Natale. I russi più fra freddo più si svegliano. Da qualche giorno attaccano continuamente, ma i loro tentativi sono tutti vani, vengono sempre respinti”, scriveva Angelo dal Don, il 18 dicembre 1942. Gli attacchi più intensi erano destinati ad arrivare nella settimana successiva, a ridosso del Natale.


Nikolajewka 

“Certamente in questi giorni avrete ascoltato i bollettini e avrete sentito ciò che è avvenuto nell’ansa del Don la zona in cui mi trovo…”
(lettera di Angelo, 29 dicembre 1942)

Dopo aver sostenuto le battaglie negli ultimi dieci giorni di dicembre (in particolare nella notte tra 23 e 24), a inizio gennaio ’43 gli alpini della Cuneense capirono che le linee erano state sfondate: gli alpini, circondati, si ritrovavano a presidiare per ultimi le trincee sul Don, prima di iniziare la ritirata. Nella notte del 16 gennaio, anche la 124° compagnia Genio lasciò le sue postazioni e iniziò a ripiegare, senza sapere dove ci si sarebbe fermati: furono giorni e notti di marcia ininterrotta, sfidando talvolta i carri armati e la fanteria dell’Armata Rossa, quando non i razzi e i colpi di mitraglia che venivano dagli aerei. Il 25 di gennaio le colonne degli alpini arrivarono alle porte di un grosso villaggio a ridosso della ferrovia, Nikolajewka. Fu la Divisione Tridentina – quella del “sergente nella neve” Mario Rigoni Stern e di Nelson Cenci – ad aprire la strada, al prezzo di centinaia e centinaia di morti, soprattutto negli assalti per passare al di là del terrapieno della ferrovia. I resti della Divisione Cuneense raggiunsero nella notte le prime case a ridosso del paesone e non parteciparon all’assalto. La posizione arretrata, però, costò molto ai genieri alpini: qui scompaiono le tracce di molti, tra loro Angelo Giuliani. «Grignaschi – racconta Cornelio – ha visto il capitano della loro compagnia nell’isba, gli ha detto “capitano ci sono i russi vicino”. Mio fratello era lì con il capitano. Il capitano ha detto al Grignaschi di andare avanti, è rimasto ancora nella casa. Mio fratello l’hanno fatto prigioniero lì».

Ritorno sul Don
Superando il timore, chiediamo a Cornelio quale è stato il momento più intenso degli anni di ricerca sul destino del fratello Angelo. «Il momento più emozionante è stato quando mi hanno chiamato i carabinieri di Gavirate, dicendo che c’era una cominicazione che potevo leggere solo io». Era il 15 ottobre 1994. «Era la conferma che mio fratello era morto, a fine gennaio ’43, ed era seppellito a Uchostoje, nella regione di Tambov» (nella foto, la carta con l’indicazione del luogo). Nel 1996 Cornelio partì per la Russia, quindici giorni per arrivare fino all’ansa del Don. «Ho conosciuto un ufficiale russo, un maresciallo, che aveva creato un museo in ricordo degli italiani». Cornelio toccò le sponde del Don, da dove per le ultime volte aveva scritto le lettere suo fratello, vide i calanchi di gesso della valle e le isbe, ancora povere e ospitali com’erano state negli anni della guerra, per i soldati sul Don e durante la ritirata. «Stavamo salendo verso il posto dove stavano i soldati italiani. Ho visto questa isba, è uscita una signora e mi ha offerto dell’acqua, mi ha fatto entrare in casa, una casa di due locali con il tetto in paglia. Mi ha mostrato i prodotti della terra e abbiamo acquistato qualcosa». Una foto ritrae Cornelio a Nikolajewka, in giacca scura, davanti ad uno degli stretti sottopassi della ferrovia: per passare oltre quei passaggi fangosi, per prendere il villaggio e aprirsi la strada verso casa, morirono centinaia di alpini, il 26 gennaio 1943.

La memoria che rimane
Nelle nevi di Russia sono rimasti in 75mila tra morti e dispersi, quasi la metà erano alpini; migliaia di altri morirono nei gulag sovietici. Oggi, nella sua cassetta di legno nella casa di Bardello, Cornelio Giuliani conserva il ricordo del fratello, molto sentito anche dalle “penne nere” del paese, che all’alpino scomparso in Russia hanno dedicato il loro Gruppo, che fa parte della Sezione di Varese. Cornelio ha mantenuto anche i contatti con Maddalena Giorgis, la ragazza a cui scriveva suo fratello, dalla Russia: lei ha vissuto sempre nel paese di Peveragno, facendo la maestra, nel 1989 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica una benemerenza con medaglia d’oro; da poco tempo sta in una casa di riposo. «La Maddalena ha una cassetta intera piena di lettere di Angelo, io l’ho aperta ma poi non ho avuto la forza per leggerle» dice emozionato Cornelio. «Ma spero di averle un giorno, perché non vadano perse».

“Oggi ho ricevuto una lettera tua ed una di mia mamma. Molto spesso amo la solitudine e spesse volte nella baracca, mentre i miei compagni dormono, penso e sogno un avvenire felice…”
(ultima lettera di Angelo dalla Russia, a Maddalena, 10 gennaio 1943)

Diario e lettere di Angelo Giuliani sono raccolti in: Insieme per ricordare – scritti e storia di un alpino (1940-1943), Gruppo Alpini di Bardello, 1996; in provincia di Varese è reperibile anche in 50 copie in diverse biblioteche civiche.

Le memorie, il diario e le fotografie del tenente Pasquale Grignaschi sono raccolti in: Vita quotidiana durante la campagna di Russia (1942-1943) – il diario fotografico inedito di un alpino sul Don, Interlinea Edizioni, Novara, 2000; in provincia di Varese è reperibile anche alla biblioteca civica di Laveno Mombello.

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Pubblicato il 26 Gennaio 2014
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