“L’identikit corrisponde, ma il cartone non l’ho mai visto”

Tina Piccolomo è convinta della colpevolezza del padre, ma chiarisce: "Non so se l'imballaggio trovato vicino alla vittima fosse di mio papà. Non abitavamo accanto ai Macchi"


L’identikit, il cartone attribuibile a Piccolomo trovato vicino al corpo di Lidia, la frasi che rivolgeva alle figlie. Sarebbero questi gli indizi principali che secondo la procura generale di Milano indicano la colpevolezza di Giuseppe Piccolomo per l’omicidio del gennaio 1987 della studentessa Lidia Macchi. La figlia dell’uomo, Tina, è una delle testi chiave dell’indagine. 

Tina, cominciamo dal cartone. Secondo la procura generale il corpo della povera Lidia era avvolto da un cartone con la scritta “elemento anta olmo, maneggiare con cura”. Era di suo padre? Se lo ricorda?

«Io il cartone di cui stiamo parlando non l’ho visto». 

Non saprebbe riconoscerlo?

«La procura è giunta a quelle conclusioni credo a ragione, ma noi non sapevamo nulla. La dottoressa Manfredda ha indagato e ci ha fatto molte domande di cui non capivamo il senso ma che ora abbiamo finalmente compreso. Ci è stato chiesto dove abitavamo, della cameretta di nostro fratello, e altro». 

Ok, ma questo è normale, i magistrati devono sincerarsi che i ricordi siano limpidi e non condizionati. Ma torniamo a quel cartone trovato vicino al corpo di Lidia. E’ vero che potrebbe provenire da casa vostra?

«Potrebbe ma io non ricordo quella scritta. Nemmeno della ditta di Laveno di cui hanno parlato i giornali so nulla. E’ vero però che nel 1986, quando ci trasferimmo da Cocquio a Caravate, mio padre comprò una cameretta in legno per il mio fratellino, perché lui dormiva da solo mentre noi sorelle invece dormivamo insieme». 

E non sa dove fu comprata o se fu prodotta da quella ditta?

«Ho letto sui giornali che dal cartone sono risaliti al produttore. Solitamente andavamo da un mobiliere  della zona che si chiama Zanellato, ma non ricordo se ci andammo anche quella volta. Ricordo tuttavia come erano fatti i mobili e di che colore erano. E li ho descritti al magistrato». 

Conosce la marca dei mobili?

«Ora non te la saprei dire». 

Però suo padre usava dei cartoni?

«Sì, quello sì, mio padre i cartoni li teneva in garage, perché facendo l’imbianchino poteva utilizzarli per lavorare. Nessuno poteva toccarglieli e per questo credo che la pista del cartone potrebbe essere giusta». 

Come può essere entrato in contatto Giuseppe Piccolomo con Lidia Macchi, lei che idea si è fatta?

«Io credo che sia stata una cosa occasionale, cioè che l’abbia vista solo quella volta nel parcheggio e abbia fatto quello che ha fatto». 

Cioè così all’improvviso, come un raptus. Ma perché?

«Beh, lui aveva dei disturbi sessuali. L’abbiamo detto più volte. Era malato da quel punto di vista. Abbiamo già raccontato degli abusi che abbiamo dovuto subire». 

Lei esclude che si conoscessero?

«Sì, per noi Lidia Macchi era una sconosciuta».

Avete abitato vicino a Lidia Macchi?  

«Ma no, mai. Non capisco questa notizia da dove arrivi.  Noi abitavamo vicino al luogo dove fu trovato il corpo di Lidia Macchi, a Caravate, a qualche centinaio di metri da Cittiglio». 

Le accuse contro Piccolomo tengono in conto anche una vostra importante testimonianza. Che parole vi rivolgeva ad esempio vostro padre?

«Diceva a me e a mia sorella, guarda che vi ammazzo, sono io il mostro di Cittiglio».

Quindi era nota la vicenda di Lidia… 

«Ma certo, lui la nominava molto spesso. Si parlava all’epoca del mostro di Cittiglio, aveva fatto molto scalpore. E lui per spaventarci diceva, sono io il mostro, l’ho uccisa io. E faceva il gesto delle coltellate». 

Quando?

«Subito dopo. Nel 1987 e nei mesi dopo. E infatti mia sorella diceva che per lei era lui l’assassino». 

Ma vostro padre frequentava quel parcheggio? Aveva qualche amico in ospedale o andava spesso lì?

«Lui era sempre in giro, era molto libero di muoversi. Mia madre lavorava fino alle due di notte e lui era spesso fuori di casa. Non so dove andasse quando usciva, poteva andare a Laveno come dovunque».  

Che cos’altro vi fa pensare che sia colpevole?

«Noi non lo possiamo sapere con certezza, diciamo che abbiamo dei sospetti. Quando abbiamo visto l’identikit, però, abbiamo pensato che fosse proprio lui. Siamo rimaste scioccate. Insomma, gli somiglia tantissimo».

In che cosa spera?

«Non arriviamo a sperare che sia stato lui, ma se così fosse, sarebbe giusto che pagasse anche per questo. Forse dopo tanti anni i magistrati hanno provato a vedere se poteva esserci qualcosa sotto, e hanno verificato che qualcosa c’è….»

Per voi è ancora una storia molto dolorosa?

«Sì tanto. Sicuramente lui negherà, come ha negato tutto sulla morte di mia madre e l’omicidio Molinari. Piuttosto che ammettere un errore morirebbe». 

Cosa prova oggi?

«Tanto disgusto e tanta rabbia, sono schifata e non riesco a capire perché mia madre non si sia separata da quest’uomo anni fa».

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Pubblicato il 29 Luglio 2014
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