L’omicida e la pistola. “E’ la mia bambina”

Viaggio nel campeggio Sette Laghi il giorno dopo il delitto. Tutti ricordano la passione di Maurizio Ammendola per quell'arma semiautomatica. Domenica aveva detto che si darebbe dato fuoco sul tetto del bar

«A volte baciava la sua pistola, e poi diceva ai vicini di casa: questa è la mia bambina». Era solo una pistola, regolarmente detenuta, ma per lui era qualcosa di più: il segno che aveva un potere. Maurizio Ammandola era un tipo particolare; l’uomo che ha ucciso Marino Bonetti al campeggio Sette Laghi di Azzate faceva paura a molti. 47 anni, viveva con la fidanzata, una ragazza di Legnano, che da cinque anni era andata a stare con lui, nel bungalow. La stessa che lo ha convinto a costituirsi. La famiglia di lei era contraria alla relazione, ma la ragazza era andata per la sua strada. «Aveva, spesso, uno sguardo inquietante, si dava un tono da superuomo, diceva di avere le armi. Era spaccone certo, ma non immaginavamo che le avrebbe usate». 

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VOLEVA DARSI FUOCO
Il magistrato e la polizia stanno cercando di capire il movente. I vicini di casa dicono di non averne idea. Ma spiegano che cosa sia accaduto domenica. «Il povero Marino ha pagato per tutti, perché quello poteva fare una strage» dice una ragazza. Perché? «Durante l’assemblea di domenica, Maurizio era tra i più agitati. Diceva certe cose che poi, a ripensarci…». Ma cosa? «Voleva salire sul tetto della club house e darsi fuoco – raccontano – e poi ha ripetuto più volte in questi mesi che lui era ammalato, e non aveva niente da perdere». Già, la malattia. l‘uomo che adesso si trova in carcere, lo scorso ottobre aveva subito un’operazione, aveva fatto cicli di cure. Aveva un lavoro, a Cunardo, una comunità dove si assistono persone con problemi di disabilità mentale. Era il factotum, un impiego che gli aveva trovato un altro socio del campeggio, con cui aveva fatto amicizia. In giro diceva di avere due caricatori della sua arma automatica, un modello utilizzato dalla guardie giurate, mestiere che aveva fatto in passato. «Secondo noi aveva almeno 31 colpi – affermano i vicini di casa – e ce li poteva scaricare tutti su di noi». 

PERCHE?
Il popolo del Sette Laghi non ha spiegazioni per quello che è accaduto ma sentirli aiuta a capire.
Maurizio Ammendola, per tutti, era un uomo con grossi problemi di personalità, uno sguardo che faceva paura e spesso l’abitudine a esagerare con le parole. Il racconto di alcuni residenti è confermato da tutti, ovvero che in qualche occasione aveva sparato in aria. Dal 13 settembre, giorno del sequestro, al 19 giugno, giorno della prima sentenza di condanna per lottizzazione abusiva, la tensione è molto cresciuta nel camping. A torto o a ragione – questo lo decideranno i giudici – i residenti hanno lottato uniti per la loro casa, ma dopo il 19 in molti si è fatta strada la disperazione. Qualche mese fa a Varesenews avevamo ricevuto una telefonata di una persona che ci diceva di stare attenti perché alcuni in quel campeggio rischiano di perdere la testa. In realtà, sono tutte persone pacifiche. Tranne una, probabilmente, e che ha fatto pagare a un innocente i suoi problemi. La vittima, Marino Bonetti (foto), era invece l’opposto del suo assassino. «Una persona di una discrezione ed educazione eccezionali – racconta Roberto, 57 anni, un lavoro in Svizzera e un trasloco in corso – era qui da anno. Si era separato dalla moglie, e la figlia era andata con la madre in Germania. Lui era solo, non aveva nessuno. Stava con noi, mangiava con noi, non chiedeva nemmeno le sigarette, e se lo invitavi a casa, si fermava sulla soglia, e prima ti chiedeva il permesso. Questo era Marino». Secondo gli inquirenti i due uomini sulla scena del delitto non erano amici di vecchi data: «E’ vero – conferma Roberto – ieri erano qui insieme agli altri, ma non andavano spesso in giro insieme. Piuttosto, vorrei dire che non c’è stata nessuna avvisaglia che potesse ucciderlo. Non hanno litigato. Sono andati insieme nel bar del supermercato, sono stati a bere, poi sono tornati insieme. Punto». 
Ora per la polizia il nodo per capire il delitto è la pistola, la Glock, chiamata «la mia bambina»: Ammendola voleva mostrarla? Voleva usarla per mostrare il suo orgoglio? «Non lo sappiamo – dicono i residenti – certo sappiamo che a qualcuno la faceva vedere, se la strisciava sulla faccia, la baciava, la chiamava così, la mia bambina. A qualcuno la faceva sentire attraverso i pantaloni, ci teneva a far capire che era armato, ecco, ma sembravano tutte parole». 
E’ vero che l’omicidio cambia tutto al Sette Laghi, ma forse è stata più la sentenza di condanna in primo grado per 5 membri del cda a cambiare molto. Lo avevano capito già i residenti che, nella piazza del tribunale, dopo la sentenza hanno pianto per ore, intuendo che avrebbero perso la loro casa. Oggi ad Azzate ci sono persone che stanno facendo le valigie. C’è chi va stare a Varese, in un appartamento dove porterà il padre. C’è una ragazza di 25 anni, che abita qui da quando aveva 8 anni, che porterà la figlia a Rho, per avvicinarsi a compagno che nel campeggio sotto sequestro non può nemmeno entrare perché non è residente. C’è chi si è rivolto al comune. E c’è un delitto senza movente, ma con tante ragioni di fondo.

Le tappe del sequestro
 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 25 Giugno 2013
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