La Schiaparelli e l’INAF per la cometa Panstrarrs

I due enti hanno lavorato insieme per lo studio della cometa, la più luminosa visibile nel nostro emisfero

I più attenti si ricorderanno della cometa PANSTARRS, apparsa a metà marzo di quest’anno immersa nel crepuscolo serale e debolmente visibile ad occhio nudo.
E’ stata in ogni caso la cometa più luminosa visibile nel nostro emisfero dopo la “Hale-Bopp” del 1997 ed una brillante cometa è sempre oggetto di studio. Questo vale sia per gli astronomi professionisti sia per gli astrofili, e quando dall’interesse comune nasce una collaborazione le soddisfazioni sono massime per entrambi. I professionisti sono molto interessati alla composizione chimica ed evoluzione degli astri, comete comprese, ma per fare questo occorre avere a disposizione uno strumento chiamato spettroscopio, che senza entrare in tecnicismi serve a scomporre la luce nelle componenti fondamentali. Da anni lo spettroscopio in uso all’Osservatorio Schiaparelli del Campo dei Fiori, autocostruito dal nostro socio Paolo Valisa e montato sul telescopio da 60cm, viene utilizzato ogni notte serena per un vasto programma osservativo in collaborazione con l’Osservatorio Astrofisico di Asiago che fa capo all’INAF, l’Istituto Nazionale di Astrofisica che gestisce gli Osservatori professionali italiani. Durante il periodo di visibilità della PANSTARRS, due astronomi dell’INAF di Trieste, Marco Fulle e Paolo Molaro, ci hanno chiesto di realizzare uno spettro ad alta risoluzione (in gergo tecnico si chiama “echelle”) della cometa, ben consci delle potenzialità del nostro spettroscopio. I risultati di queste osservazioni scientifiche sono stati pubblicati recentemente sulla rivista  Astrophysical Journal con un articolo dal titolo “Potassium detection and Lithium depletion in Comets C/2011 L4 (Panstarrs) and C/1965 S1 (Ikeya-Seky)”. Paolo Valisa e lo scrivente, entrambi dell’Osservatorio Schiaparelli di Varese, sono i co-autori dell’articolo, che si può scaricare al seguente link: http://arxiv.org/abs/1307.4885 (cliccare su “PDF” in alto a destra nella pagina). Le osservazioni hanno spiegato un’anomalia chimica conosciuta da tempo, ma hanno anche rivelato un nuovo mistero che impegnerà ora gli astronomi delle comete nei prossimi anni. Alcuni anni fa un team europeo (cui ha partecipato lo stesso Marco Fulle) aveva dimostrato che le comete formano, oltre alle ben note code di gas e di polvere, anche una coda di sodio neutro. Questo aveva portato all’idea che le comete dovessero sviluppare anche delle code di potassio neutro (K I) e di litio neutro (Li I), chimicamente molto simili al sodio, ma che nessuno aveva ancora osservato. Se presenti, questo tipo di code sono molto deboli e si sviluppano solo quando la cometa si avvicina al Sole. Può sembrare strano ma ottenere spettri ad alta risoluzione di una cometa vicino al Sole, cioè nel momento in cui sviluppa maggiormente la coda, è tecnicamente molto difficile. La ragione è che i grandi telescopi professionali per ragioni di sicurezza non possono puntare vicino al Sole o, come in questo caso, non possono osservare a basse altezze sull’orizzonte.
Si era dunque alla ricerca di un Osservatorio astronomico in grado di ottenere uno spettro ad alta 
risoluzione di una cometa quando questa era ancora piuttosto vicina al Sole, entro le 0.5 UA (Unità
Astronomica, pari alla distanza media Terra-Sole di 150 milioni di km). La sera del 21 marzo, con 
la cometa alta appena 10 gradi dall’orizzonte WNW, siamo riusciti ad ottenere lo spettro echelle che gli astronomi cercavano, nella regione ottica compresa tra 420 e 800 nm.
Lo spettro ottenuto è dominato da una fortissima riga del sodio neutro (Na I), e rivela anche le ben note righe di emissione di molte molecole (C2, NH) ma anche del doppietto del potassio neutro in emissione a 766,5 e 769,9 nm. Questo significa che le comete hanno almeno un’altra coda formata da potassio, distinta da quella del sodio. L’unica altra osservazione similare è stata ottenuta quasi 50 anni fa, e la cometa era la Ikeya-Seki del 1965. Il rapporto osservato in entrambe le comete mostra una notevole sovrabbondanza di sodio rispetto al potassio, e questa anomalia era rimasta senza spiegazione fino ad oggi. Usando Mercurio come riferimento, dove si osserva un’ anomalia simile, Fulle e collaboratori hanno calcolato che la ionizzazione causata dalla radiazione solare è stata maggiore nel potassio che nel sodio.
La sorpresa più grande è stata però la totale assenza del litio. Questo elemento è molto particolare: nell’Universo è stato prodotto per il 10% nei primi 3 minuti di vita dell’Universo, e poi arricchito da varie sorgenti galattiche ancora non bene identificate fino a raggiungere i valori misurati oggi nelle meteoriti. Ci si aspettava di misurare quindi, sulla cometa, un valore analogo a quello delle meteoriti, e invece il valore osservato è almeno 5 volte più basso. Cosa significa? Al momento non esiste una spiegazione di questa anomalia: è possibile che qualcosa nella composizione o nel processo di sublimazione nelle comete distruggano o trattengano il litio.
L’ipotesi più interessante è che la cometa possa essersi originata in un diverso sistema solare caratterizzato da una diversa abbondanza di litio. Un’altra ipotesi è che la nebulosa in cui si sono formati pianeti, comete e meteoriti, avesse una distribuzione di litio diversa a seconda della distanza dal Sole, per cui tutte le comete potrebbero avere un’abbondanza di litio diversa dagli altri corpi del sistema solare. Misure del litio in comete nuove (quali la Panstarrs) e periodiche (quali la 67P che sarà raggiunta dalla missione Rosetta dell’ESA) potrebbero mettere in relazione l’abbondanza del litio con la composizione isotopica dell’acqua, che dalle ultime misure è diversa nelle due famiglie di comete (fascia di Kuiper e nube di Oort). Il litio potrebbe costituire quindi un tracciante in grado di fornire informazioni sull’origine delle comete. Per il momento non resta altro che cercare di osservare altre comete. Per fortuna questa volta non ci sarà da aspettare molto: la cometa ISON arriverà tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, permettendoci di ripetere le osservazioni. 

Luca Buzzi – Osservatorio Astronomico Schiaparelli di Varese
Paolo Molaro – INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste

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Pubblicato il 25 Ottobre 2013
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