Lidia Macchi e la pista scartata del maniaco

Come mai le ipotesi seguite dai magistrati di Milano furono accantonate a Varese? A torto o a ragione, ecco i motivi e i dubbi su una vicenda che ha svoltato: da delitto passionale, alla storia del serial killer

Il punto fermo dell’indagine su Lidia Macchi è che un prete è stato indagato e poi scagionato. Don Antonio era stato per anni sospettato e inseguito dalle trasmissioni televisive, ma non era indagato a Varese. Il fascicolo, quando nel 2013 fu prelevato dai magistrati di Milano con un’avocazione, era infatti contro ignoti. La decisione quindi di indagare e poi di archiviare la posizione del prete di Comunione e liberazione, è stata presa dalla procura generale di Milano che, secondo quanto emerso in questi giorni, ha lasciato cadere la pista passionale e ha scelto quella del "maniaco e serial killer". Il caso di specie è stato ricondotto fino a Giuseppe Piccolomo, e ora la procura generale si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per l’uomo già condannato all’ergastolo per il delitto della pensionata Carla Molinari assassinata nel 2009 a Cocquio Trevisago.

La procura generale di Milano per la prima volta individua un presunto colpevole (il Piccolomo) e scagiona un indagato (il prete), aprendo e chiudendo la sua posizione di fronte alle legge.  
Ma saranno certezze durature? Per mettere un punto fermo bisogna soprattutto avere delle certezze sulla figura del killer. L’impianto accusatorio si reggerebbe infatti sull’ipotesi che a differenza di quanto creduto per anni dai magistrati di Varese (e cioè che il delitto avesse uno sfondo passionale) lo scenario sia quello di un uomo che abbia visto quasi casualmente Lidia e l’abbia voluta per sè. 

Ma perchè la procura di Varese non ci aveva pensato prima? La procura (il pm Agostino Abate) aveva esplorato a suo tempo questo aspetto. Ma lo ritenne poco credibile anche sulla scorta di alcune considerazioni. Le denunce sul maniaco dell’ospedale di Cittiglio, ad esempio, non arrivarono prima del delitto di Lidia Macchi, ma solo  successivamente, quando cioè una donna (sembra sia stata una sola) disse di essere stata seguita da uno sconosciuto. La procura di Varese verificò anche questa pista ma non trovò alcun riscontro e per questo motivo la considerò destituita di ogni fondamento. Detto in altri termini, probabilmente la considerò come una normale dinamica di psicosi collettiva legata all’impressione e alla paura suscitata nella popolazione dopo il barbaro omicidio di Cittiglio, maturato in un parcheggio buio ai danni di una donna giovane e indifesa. Questa fascinazione del male, è stata invece presa come la pista da seguire dalla procura generale di Milano che ha sterzato e in pratica aperto il nuovo scenario di questi giorni. 

GLI INDIZI QUALI SONO?
Gli indizi a carico di Piccolomo, secondo la stampa, sarebbero soprattutto due, ovvero la dichiarazioni delle sue figlie (“Ci diceva che ci avrebbe fatto fare la stessa fine di Lidia Macchi”) e un identikit sul presunto molestatore di cui si accennava, che nel gennaio del 1987 avrebbe agito nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio dove la stessa Lidia Macchi scomparve in quel gennaio. La procura generale probabilmente deve aggirare almeno due ostacoli. L’identikit secondo diversi osservatori è molto generico: nel 1985 moltissimi uomini avevano i baffi, inoltre le foto di Piccolomo a cui è stato accostato non è chiaro se siano riferibili a quel gennaio del 1987.

Quanto alle dichiarazioni delle figlie, anch’esse vanno valutate con attenzione. E comunque non sarebbero decisive in un processo in corte d’assise. 

Inoltre, l’indagine della procura generale è stata accompagnata da rivelazioni televisive molto interessanti a livello giornalistico ma che in aula non avrebbero lo stesso valore, vedi la lettera in cui Lidia parlava dei suoi tormenti amorosi indicata dalla tv come una scoperta della procura generale che avrebbe aperto nuovi scenari. In realtà era un fatto a conoscenza della procura di Varese da anni, tanto da essere stata anche citata in un bel libro che il giornalista Gianni Spartà dedicò alla cronaca locale di Varese, nel capitolo sul delitto della studentessa.

Infine, tra le rilevazioni emerse in questi mesi alcune non hanno più avuto un seguito. Come ad esempio la seguente: che fine ha fatto la pista dell’uomo sposato che avrebbe frequentato Lidia Macchi? In teoria è decaduta, se la procura generale ha ormai puntato sulla pista del serial killer, ma l’uomo sposato è mai stato indagato? Non si sa. Che cosa accadrà adesso? Il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda può chiedere l’udienza preliminare e il processo, che dovrebbe comunque svolgersi a Varese, con la pubblica accusa rappresentata però dalla procura generale di Milano. La vicenda potrebbe arrivare dal gup a ottobre.

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 28 Luglio 2014
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.