Maroni: “Basta con la Padania. Ora pensiamo alla Lombardia”

Il segretario della Lega racconta la svolta del partito. Non tornerà a Roma e sarà il candidato del Carroccio e di liste civiche per la Regione Lombardia. «Grillo è un barbaro ma non sogna»

maroni intervista varesenewsÈ la Lombardia la nuova sfida di Roberto Maroni. «Mi candido a governatore, e lunedì il consiglio federale discuterà proprio delle elezioni regionali. Lascio Roma senza rammarichi. Tre volte ministro e tanti anni di lavoro nella capitale possono bastare. È anche una questione di coerenza con la nuova strategia della Lega perché “Prima il Nord” non è uno slogan».

L’ex ministro dell’Interno è accompagnato dalla scorta, perché è considerato ancora un obiettivo di primo livello. Niente privacy, ma del resto da luglio, da quando è diventato segretario nazionale, la sua vita è cambiata radicalmente, e di spazi liberi ne ha ben pochi. 
Maroni, partiamo dai barbari sognanti, che fine hanno fatto?
«Si sono evoluti. Erano nati come una reazione a una situazione insopportabile all’interno della Lega. C’era bisogno di avere un punto di riferimento per chi pensava che le cose dovessero cambiare. Questa espressione la usai la prima volta a Pontida quando dissi di guardarci “perché siamo sì barbari, ma barbari sognanti”. È una definizione che ho presto a maroni intervista varesenewsprestito da Scipio Slataper, un giovane poeta irredentista triestino che si lanciò contro gli austriaci definendo se stesso e i suoi amici “barbari sognanti”. Ovviamente andò contro la morte, ma quell’ardore e passione romantica mi ha colpito e così ho ripreso quella definizione. Adesso non ci sono più, perché tutti i leghisti sono “barbari sognanti”». 
 
Francesco Guccini in Bisanzio si chiedeva “sentivo bestemmiare in alamanno e goto, romani e greci dove siete andati”. L’indovino, sul bivio dell’impero, non capiva più cosa stesse succedendo. Sicuro che definirsi barbari aiuti a leggere la realtà?
«I Barbari sono un popolo che ha avuto una propria storia. Hanno combattuto contro Roma, ma il loro errore, malgrado le vittorie importanti, è stato sfidare i romani sul loro terreno. Ne sono usciti sconfitti. Noi, a differenza loro, abbiamo un sogno e il nostro progetto non è occupare un territorio ma sconfiggere la Roma burocratica e centralista».
 
Barbari a parte cosa sta succedendo alla Lega? 
«La Lega oggi sta lavorando a una terza via, con una strategia precisa: diventare il partito egemone del Nord, una sorta di CSU bavarese. La strada finora è stata un’altra. Prima

maroni carso

 l’indipendentismo e poi la partecipazione al Governo. Eravamo convinti che andare a Roma ci avrebbe permesso di condizionare il potere. Non ci siamo riusciti come volevamo. Ora siamo convinti che diventare egemoni qui al Nord significhi dover fare per forza i conti con noi. L’Italia non può fare a meno delle risorse del Nord».
 
Quindi una Lega che fa da sola?
«Abbiamo due strade: far diventare leghisti anche quelli che non lo sono, o allargare la coalizione a quanti credono che l’appartenenza territoriale sia prioritaria. Noi scegliamo la seconda, un po’ come quello che sta succedendo in Catalogna. Questo vuol dire che si è esaurita l’alleanza tra Lega e Pdl perché quel partito, che tra l’altro non esiste più, non crede nella nostra visione del Nord. In questa fase è superato anche il concetto di Padania che è esclusivo dei leghisti mentre noi vogliamo essere inclusivi in modo da andare oltre la Lega. Semplificando: “se vuoi prima il Nord” non ti chiedo di entrare nel partito, ma di aderire a un progetto. I primi passi concreti li abbiamo fatti a Torino con gli stati generali delle imprese al Lingotto e poi a Milano con quelli delle professioni. Mondi che sono venuti a raccontarci le loro esigenze e noi abbiamo fatto nostre le loro proposte. È la fase dell’ascolto e del coinvolgimento vero. Tutto questo si declinerà nell’accettare alleanze con alcune liste civiche che condividano un progetto settentrionale».
 
maroni intervista varesenewsCosa chiede la Lega?
«Ci piacerebbe poter avere uno statuto come quello della Regione Sicilia, dove tutte le tasse dovrebbero restare sull’isola, e quando il consiglio dei ministri discute qualcosa che li riguarda il governatore può partecipare a pari dignità degli altri. Venne disatteso perché si barattò quell’autonomia con soldi facili. Non  chiediamo nemmeno quello che ha il Trentino dove resta il 90% del gettito fiscale. Noi non siamo egoisti: chiediamo che resti in Lombardia il 75% delle tasse pagate dai lombardi. Oggi ne rimane il 35% e certamente a Roma non sono disponibili a concedere quanto chiediamo. Per questo non ci interessa più la politica romana. Conteremmo sempre poco, e quindi il nostro braccio di ferro lo faremo da una posizione di forza che ci è data da un consenso qui al Nord».
 
Perché darvi fiducia visto che siete stati al Governo tre volte?
«Allora, nel 1994, prendemmo un’altra strada. Poi nel 1996, all’opposizione abbiamo tentato la via indipendentista, ma non c’erano le condizioni. Da qui la scelta di una terza via».
 
Allora mai più con il Pdl?
«Il Pdl non esiste più. È in una crisi profonda e non credo che ne uscirà. Piuttosto nascerà qualcosa di nuovo. Noi stiamo lavorando sull’identità in modo diverso dalle nostre precedenti fasi. Ora vogliamo tornare a investire come il “sindacato del territorio” coinvolgendo altri soggetti per allargare il consenso».
 
E con il Pd?
«Ma va… lasciamo perdere i partiti centralisti romani».
 
maroni intervista varesenewsE con Grillo?
«Lui è un vero barbaro, ma gli manca il sogno. Quale sarebbe il suo sogno? Mandare a casa gli altri per mettere i suoi? Grillo mi sta simpatico e mi ricordo una lunghissima intervista che gli feci a casa sua per La Padania. Quattro ore di show personalizzato. Allora iniziava ad interessarsi ai temi che oggi sono diventati il suo cavallo di battaglia. È simpatico e mi piace molto il suo anticonformismo, ma non basta. So quanta fatica si fa a costruire un partito e quando si ha una crescita così forte è dura mantenere una linea. Noi della Lega ci siamo passati nel 1993 dopo la vittoria di Formentini a Milano. Per tenere unito il partito serve un leader presente e un progetto. Noi, con Bossi e il federalismo, li avevamo entrambi. Grillo invece ricorda solo i barbari che dopo le prime vittorie vennero sconfitti».
 
E torniamo lì: dai barbari sognanti alla Lega 2.0…
«La Lega adesso è tutta 2.0. Nasce da una crisi profonda. E di fronte a questa si apre sempre un’opportunità: scomparire oppure rinnovarsi. I partiti della prima repubblica furono incapaci di trovare risposte e vennero sostituiti da altri. Noi invece stiamo cambiando seriamente. Non è una Lega nuova, ma una Lega rinnovata. Quello che a luglio sembrava il sogno solo di qualcuno, ora è diventato di tutti i leghisti. Io sono orgoglioso della mia storia, non butto via tutto quello che è stato, perché lì c’è il nostro patrimonio, ma da oggi stiamo vivendo una fase nuova. Largo ai giovani e a nuove energie, sul serio e non solo a parole come fanno gli altri. La Rete in questo è fondamentale perché ci permette di condividere e mobilitare. Abbiamo una squadra di “smanettoni” che lavorano sui social e su Internet. Fino a sei mesi fa avevamo solo un sito che veniva aggiornato due volte al mese. Io stesso, malgrado la passione e l’attenzione per la tecnologia, ho iniziato a usare Facebook e Twitter solo da dicembre un po’ per gioco. Non consideravo bene questi strumenti. Inoltre, utilizzo molto le ricerche affidandomi a Swg, che non è vicina alla Lega. Non chiedo solo le intenzioni di voto, ma anche quali sono le esigenze dei cittadini del Nord».
 
maroni intervista varesenewsE come è messa elettoralmente la Lega oggi?
«A livello nazionale siamo stabilmente sopra il 6%. Abbiamo fermato l’emorragia e stiamo risalendo. In Lombardia siamo al 19%, il Pdl è sotto il 14%, il Pd è al 24%, Grillo al 16% e l’Udc al 4%».
 
Quindi davvero da soli in Lombardia?
«Ho avuto mandato di portare al consiglio federale di lunedì la decisione di non sostenere Albertini e quindi correre da soli. Del resto che credibilità può avere l’ex sindaco di Milano quando dice di voler fare una propria lista? Lui è iscritto al Pdl, è europarlamentare per quel partito, lo lancia Formigoni e quindi? Io mi candido alla guida della Lombardia con la Lega e alcune liste civiche che condividono il nostro progetto che chiede una sorta di statuto speciale per la regione».
 
Davvero lascerà Roma?
«Certo! Da federalista convinto sono stato tre volte ministro, e oggi posso dirlo tranquillamente che preferisco la Lombardia, la mia terra. Non è una scelta della serie “vorrei ma non posso”. Rinuncio a Roma avendo colto l’uva, e adesso potendo scegliere tra rifare il ministro e fare il Governatore non ho dubbi. E questo è anche per ragioni di coerenza, perché fa parte della strategia che vede Prima il Nord. Qualcuno poi è preoccupato perché non potrei continuare a fare anche il segretario. Io credo al principio di “un culo, una sedia” e quindi sceglierò. In tanti possono ricoprire il mio attuale ruolo nella Lega. Per me non chiedo niente perché dalla politica ho ottenuto più di quanto avessi mai immaginato. L’ho ottenuto con una discreta facilità, non perché sia più bravo di altri, ma per una serie di fatti della vita. Poi io ci ho messo la mia passione e qualche competenza, ma la risposta la trovo nell’antica Grecia. Allora il tempo era definito “kronos”, quello che scorre, o “kairos”, quello giusto, perfetto. Io ho vissuto in quella fase e ho avuto fortuna. Oggi però dico che il governo della Lombardia è più importante di quello di Roma».
 
Perché Formigoni ce l’ha così tanto con la Lega?
«Il motivo è semplice: gli abbiamo rotto le uova nel paniere. Quando ha visto il momento di crisi della Lega lui credeva di potersi impossessare dei nostri consensi e così si è messo a parlare di macro regioni come fosse farina del suo sacco. Quell’idea era di Miglio e non sua. Poi la crisi della regione nasce da un assessore che ha preso i voti della n’drangheta e non per le scelte politiche nostre. Da allora lui è ossessionato, perché vede che noi risaliamo sulla scena e guadagniamo consensi, mentre la sua eventuale lista sarebbe a ridosso del 2%».
 
Intanto però la sua Lega dice di rompere con tutti e poi continua a votare provvedimenti che potrebbero farci tornare nell’epoca del proporzionale. Perché quel voto alla commissione del Senato per la legge elettorale?
«Noi non siamo per un premio di maggioranza al 42,5%, percentuale poi che non si capisce nemmeno perché sia stata fissata così. Siamo dell’idea che basti il 35-40% anche perché occorre assicurare a chi vince di poter governare. In commissione abbiamo votato per ragioni politiche e per dare un segnale chiaro, ma in aula sarà diverso. Restiamo dell’idea che occorra ripristinare le preferenze anche se sappiamo che sono un rischio. Il Pd piuttosto non si capisce cosa voglia». 
 
Lei è l’immagine della Lega “presentabile”…
«Ho già capito… È la solita storia della Lega xenofoba, razzista, rozza e così via. Nella mia libreria ho quasi tutti i libri scritti sul nostro partito. Mi ricordo sempre un titolo della fine degli anni Novanta: Brigate rozze. Questa è l’idea che si ha di noi. Del resto aveva ragione Einstein quando diceva che “è più facile scindere un atomo che abbattere il pregiudizio”. Mi domando sempre, ma se noi fossimo davvero così, e malgrado questo continuiamo a governare, cosa significa che intere aree del paese sono xenofobe o razziste? Mi basta guardare al territorio in Italia che ha il più alto numero di immigrati e i maggiori progetti di integrazione. È Treviso, guidata da anni dalla Lega. Allora c’è qualcosa che non torna. Sono accuse che ci portiamo dietro da sempre, ma noi non siamo contro qualcosa, ma per qualcosa. Mi dispiace ogni volta che veniamo messi sotto accusa, ma la realtà dice ben altro».
 
In questi giorni è uscito un suo libro scritto con Carlo Brambilla. Un’altra autobiografia?
«No, c’è un po’ di racconto, ma le ragioni della pubblicazioni sono quelle di parlare del nuovo corso della Lega. Una parte centrale è dedicata all’Europa. Noi non siamo anti europeisti, ma per un neo europeismo. Non siamo sulle posizioni Le Pen che vorrebbe uscire dalla Ue per rifare la grande Francia. Noi crediamo all’Europa delle regioni e dei popoli, e ci batteremo per quella. Del resto, se tra qualche giorno la Catalogna con il referendum decidesse di diventare autonoma dalla Spagna, non uscirebbe dall’Europa, e lo stesso varrebbe per la Scozia. Quindi tutti abbiamo bisogno di un continente che sia espressione dei popoli».

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Pubblicato il 09 Novembre 2012
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