Profughi, le associazioni chiedono un incontro con il Comune

Solo pochi dei rifugiati venuti dal Nordafrica hanno un posto dove stare, gli altri restano nell'incertezza. "È mancato qualunque progetto, nonostante i soldi spesi"

L’emergenza profughi è finita, ma i rifugiati varesini sono allo sbando, senza più guida e senza progetti avviati. L’allarme viene dal Coordinamento Migrante delle associazioni varesine, che nell’arco di due anni ha cercato di affiancare percorsi d’inserimento e solidarietà per i giovani africani scappati dalla guerra in Libia. «I problemi di oggi ci dicono i limiti drammatici di questo progetto fin dall’inizio: profughi trattati come emergenza, anziché come persone» dice Oriella Riccardi della Cgil una delle sigle impegnate sul tema, insieme a Anolf-Cisl, Acli, Uisp e altre.

«A parte Gavirate, tutte le strutture in provincia hanno ormai chiuso i loro programmi, i profughi hanno ritirato il loro voucher e sono stati lasciati al loro destino», spiega Sergio Moia dell’Anolf Cisl. Pochissimi hanno trovato una sistemazione, un posto di lavoro a reddito limitato e un tetto sopra la testa: secondo le stime delle associazioni sono 6-7 Varese, 5 a Marzio, 2 a Somma, un paio d’altri nel Luinese (di dieci che erano inizialmente). Otto sono ancora affidati alla Cooperativa Lotta all’Emarginazione a Induno Olona, sei in un appartamento del Molina. A Saronno il Comune sta ancora gestendo alcuni profughi, Exodus a Gallarate un altro gruppo. Mancano comunque statistiche complessive e c’è anche il timore che una parte sia partita verso Sud, per lavorare in nero nelle campagne, dove le condizioni di lavoro sono durissime ed evitate dagli italiani e dove il controllo della manodopera è spesso nelle mani della criminalità organizzata.

Il Coordinamento Migrante fa appello, in questa fase, soprattutto al Comune di Varese: «L’Assessore ai servizi sociali del Comune di Varese ha dichiarato che si sarebbe convocato un tavolo per esaminare la situazione, noi chiediamo che la convocazione sia tempestiva. Tra questi casi ce n’è qualcuno particolarmente urgenze» aggiunge ancora Moia. Oriella Riccardi della Cgil sottolinea comunque i limiti dell’approccio alla questione: «I problemi di oggi ci dicono i limiti drammatici di questo progetto fin dall’inizio: profughi trattati come emergenza fin dall’inizio, anziché come persone. Si parlava di numeri esagerati, invece sono arrivati 17500 in totale, un numero assolutamente gestibile».

La mancanza di un progetto, secondo le associazioni, è tanto più grave nella misura in cui lo Stato ha usato risorse enormi, a partire da 797 milioni del 2011. «La nostra preoccupazione è anche per il futuro» dice Carlo Naggi, delle Acli di Gallarate. «Togliamoci dalla testa l’idea che sia una situazione unica, è difficle pensare che non la vivremo di nuovo in futuro». Del resto, a Sud e a Est dell’Europa le situazioni di tensione sono sempre notevoli (intrecciata anche alle questioni ambientali e climatiche e al supersfruttamento delle risorse), basti pensare solo alla Siria, al continuo scontro interno alla Nigeria o alle rinnovate tensioni nei Paesi d’influenza francese come il Mali. Un fenomeno gigantesco che rischia di cogliere impreparata l’Europa, tanto più l’Italia.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Marzo 2013
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