“Ricordate il contrabbando? Una volta acciuffai un prete”

C'era una volta il crimine: un ex maresciallo del Gaggiolo rivela episodi e personaggi del mondo degli spalloni

Le sigarette sotto la tonaca, l’ex spallone che vuole spargere le ceneri lungo il confine, la star del contrabbando che fa l’agricoltore in paese. Quanti segreti a scavare nel mondo dei contrabbandieri. Molti sono custoditi a Gaggiolo, nella casa di un ex maresciallo, Salvatore Boeddu. Uno tenace, di quelli che quando passava in auto, i contrabbandieri, alla radiolina, dicevano così: «È passato Boeddu, stasera non si lavora, andiamo a casa..»

Boeddu, finanziere di confine, per decenni, avrà qualche segreto nel cassetto…
«Beh… qualche bella storia, certo».

Ci dica, avrà fermato qualche contrabbandiere particolare…
«Una volta, sì, era un prete».

Un prete?
«Già, si era fatto una cintura sotto la tonaca, e ci metteva le sigarette. Noi eravamo giovani finanzieri, rigidi, ci avevano insegnato che non si guarda in faccia a nessuno. Ci rimanemmo male a fare il verbale al prete. Era un sacerdote alloggiato all’orfanotrofio Padre Beccaro a Saltrio e ci disse che voleva dare le sigarette a quelli che venivano a trovare gli orfanelli».

E l’avete multato?
«Sì, fummo inflessibili, ma oggi forse avrei chiuso un occhio».

Voi eravate i nemici del contrabbando, ma oggi se ne parla come di una epopea romantica. E’ vero, ad esempio, che vi mettevate d’accordo per non usare armi?
«Si, è vero..vede..c’era una specie di patto non scritto…da sempre, io lasciavo a casa la pistola, e loro pure. Al massimo, ci facevamo un bastone e quando ci si incontrava nei boschi ci si affrontava».

Che cosa si contrabbandava qui?
«Un tempo sigarette, a piedi, con le bricolle in spalla, da caricare sulle auto per Milano. Poi caffè. Negli anni Settanta le giuliette correvano dappertutto sulla fascia di confine, la nostra era la zona del contrabbando in auto, delle imboscate, dei posti di controllo occulti».

Dove?
«Ovunque, ma noi abbiamo fatto soprattutto servizio a Gaggiolo, Saltrio, Viggiù. Paesi dove tutti facevano il contrabbando. E’ grazie a quello, che gente povera in paesi dove c’era poco lavoro, ha potuto comprarsi la casa».

Dove era l’epicentro?
« Tra noi finanzieri, c’era un modo di dire. Chi non ha fatto servizio alla Baraggia di Viggiù…non sa cosa sia la guardia di finanza».

Perché?
«Perché facevamo una vita durissima, tutte le notti appostati, dormivamo in un cespuglio di rovi, con il mantello militare, poi aspettavamo il passaggio dei contrabbandieri, che a volte erano anche riuniti in gruppi di decine di spalloni in fila. La Baraggia era un luogo mitico e infatti da lì veniva il più famoso contrabbandiere della zona».

Chi era?
«Beppe Molina, il numero uno. Lo chiamavano Beppe il rosso per il colore dei capelli. Era uno che ci metteva la faccia, capace di andare da solo contro le nostre auto nei posti di blocco e sa che le dico?»

Cosa?
«Che io in un certo senso lo ammiro, non perché ha fatto il contrabbandiere, ma perché ancora oggi, a ottanta anni, è un uomo che lavora…lo si vede ancora in giro con il trattore nella sua fattoria».

E i luoghi?
«Qui i contrabbandieri si davano appuntamento nei cippi di confine, segnati con una numerazione. Il 118 è a Giaggiolo ed è una pietra del 1559 del vecchio Ducato di Milano, ma quelli più famosi erano il 124 e 125 che sono a Baraggia e Saltrio. Qui in paese c’è un uomo che ha fatto la staffetta, da ragazzo, a questi cippi, e ho sentito dire che vuole far disperdere le sue ceneri al  121».

Incredibile, ma che vuol dire ‘faceva la staffetta’?
«Si, i ragazzini stavano a fare la guardia ai cippi e agli angoli delle strade. Pensi che noi ci eravamo fatti una radiolina per intercettare le loro comunicazioni. Li sentivamo che si dicevamo ‘ guarda che è passata la finanza, l’auto di tizio e caio…’ ci conoscevano tutti e d’altronde anche noi conoscevamo loro, ci incontravamo al bar, spesso, fuori dal lavoro».

Al bar…e che vi dicevate?
«Eravamo liberi cittadini, si parlava, ma noi avevamo una regola: mai farsi offrire il caffè…».

E come li acchiappavate?
«Nei boschi loro avevano una staffetta con due persone che pattugliava i cippi di confine, quando andavano via, sbucavamo fuori dal cespuglio e poi ci lanciavamo».

Anche col caffè?
«Era redditizio e lungo il confine, tutte le cascine erano diventate finte torrefazioni. In realtà se lo facevano passare dalla rete, con timbri italiani finti».

Caffè ovunque?
«Sì sì, certe mattine d’autunno, aprivamo la finestra della caserma, a Gaggiolo, e si sentiva un aroma di caffè in tutta la valle: è stato così per anni».


Avete mai deposto le armi per un momento?
«Ricordo un episodio: una volta fermammo una Giulietta con 200 chili di accendini, lo spallone fece marcia indietro e finì nel fiume Lanza, al ponte di Clivio. Ci buttammo in acqua e lo tirammo fuori, poi in caserma lo rifocillammo. Sarebbe morto annegato. Poi però gli facemmo anche il verbale. Eravamo gente tenace sa… »

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Pubblicato il 02 Agosto 2007
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