«Se è un terrorista è giusto che paghi. Ma voglio vedere le prove»

Parla la moglie del tunisino allontanato ieri sera dall’Italia per le misure antiterrorismo. La donna è in attesa del sesto figlio

Afhida è barricata in casa. Da dietro la porta chiede chi siamo. In casa non sono ammessi uomini, la legge coranica parla chiaro. Quando sente che sono una giornalista, accetta di rilasciare un’intervista.
Per lei è un momento drammatico: il marito, il tunisino Ben Said Faycal, è stato espulso dall’Italia in seguito ad un provvedimento del ministero dell’Interno. Da oggi Afhida Reffa  è sola con cinque bambini piccoli e uno in arrivo.

Ieri sera si era recata all’ospedale Del Ponte per accertamenti medici (la gravidanza è ormai al nono mese, il bambino è diabetico ed è stato programmato il parto cesareo per domani mattina), quando ha saputo dal marito che aveva appena ricevuto il foglio di via. Alla notizia è scappata dall’ospedale ed è stata riaccompagnata dalla Croce Rossa a casa, dove l’attendevano i suoi cinque bambini, che aveva lasciato momentaneamente in custodia da una vicina, confidando nel ritorno del marito, che invece era già in partenza per la Tunisia.
(nella foto: l’ingresso della corte dove abita la famiglia Feycal)

In merito all’accusa rivolta al marito, la donna dice di non saperne nulla: «Se mio marito è colpevole, è giusto che paghi. Ciò che pretendo sono le prove, e finora non me ne sono state date. Ci siamo conosciuti in Italia, abitiamo qui (ad Azzate, in una casa comunale, n.d.r.) dal 1991 e non abbiamo mai fatto del male a nessuno né ci sono stati problemi con la gente del posto. Mio marito è un onesto commerciante, viaggia molto per lavoro, da Torino a Bologna. E’ musulmano praticante, frequenta le moschee, ma non ha mai preso parte a complotti terroristici. Non è un reato manifestare la propria fede.»

Non è la prima volta, tuttavia, che Ben Said Faycal viene coinvolto in accuse di terrorismo internazionale: durante un viaggio in Iran nel 2001 l’uomo era stato già allontanato dalle autorità iraniane per lo stesso motivo, anche per quell’episodio la moglie continua a ritenerlo innocente. «Stavamo solo cercando un paese islamico in cui cominciare da zero una nuova vita, perché voi non potete capire le nostre tradizioni. Ma se fosse stato colpevole, l’avreste trovato in Afghanistan – dice la donna -. Oggi però è diverso: secondo la legge coranica un uomo non può alzare la mano contro il paese che lo ospita, ma se viene accusato e allontanato ingiustamente, allora è suo diritto rispondere».

Ora Afhida ha paura: paura per se stessa e per i bambini, abbandonati al proprio destino, con il solo aiuto dell’assistente sociale che oggi per la prima volta le ha portato aiuti alimentari. Ma anche paura per il marito, che in Tunisia rischia di essere arrestato per motivi politici. «Negli anni Settanta Ben Said ha partecipato a una manifestazione contro il governo. Si trattava di una dimostrazione pacifica, all’epoca nessuno gli ha detto niente ed è potuto entrare in Italia senza problemi. Ma oggi la legge tunisina è cambiata: anni fa gli è stato comunicato che per quell’episodio deve scontare dieci anni di carcere come sovversivo». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Settembre 2005
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