Uva, la supertestimone smentita dai colleghi

Interrogati 31 dipendenti dell'ospedale. Nessuno ha confermato la versione dell'ausiliaria che afferma di aver visto dei carabinieri minacciarlo e poi portarlo dentro uno stanzino per percuoterlo. Una sanitaria: "Ci chiese lui di andare in bagno"

La supertestimone Assunta Immacolata Russo, 60 anni, ausiliaria sociosanitaria del pronto soccorso di Varese sarebbe l’unica persona, dei 31 dipendenti dell’ospedale di circolo interrogati, ad avallare l’ipotesi di minacce e pestaggio anche tra le barelle la notte tra il 13 e il 14 giugno del 2008, quando morì Giuseppe Uva. In soldoni è questo il conto finale delle nuove indagini disposte dal pm Felice Isnardi che, se da un lato ha aggiunto nel capo di imputazione anche l’ipotesi delle botte in ospedale, dall’altro ha compiuto una ricognizione a larghissimo raggio sentendo a verbale tutti i presenti quella notte: ausiliari, infermieri, medici, barellieri, guardie giurate. Praticamente nessuno ha affermato di aver visto Uva Giuseppe lamentarsi di un pestaggio, ma soprattutto nessuno avrebbe confermato che i carabinieri lo avrebbero minacciato di «una menata di botte», e che lo avrebbero poi portato in uno stanzino del triage da cui sarebbe uscito barcollante con un segno sul naso e praticamente senza forze. Ad eccezione della Russo, i presenti affermano invece che in quello stanzino Uva ci andò perché aveva chiesto di recarsi in bagno, perché insomma gli scappava la pipì. Lo dice ad esempio Andrea Zanella, l’infermiere del triage che ha confermato la sua versione dei fatti resa anche durante il processo a uno dei medici imputati nelle prima tranche di inchieste. « Non gli ho mai tolto gli occhi di dosso – afferma Zanella – mi ricordo che aveva chiesto di andare in bagno, ma non ricordo poi con chi sia andato». L’infermiere vide un segno allo zigomo di Uva e per tre volte gli chiese se lo avessero picchiato ricevendo risposta negativa. Uva era forse stordito e non capiva? No: «Era cosciente, lucido e collaborante». Zanella riguardo alla possibilità che sia stato portato in bagno dai poliziotti afferma: «Non mi sembra proprio». La sequenza di medici e paramedici che non ricorda granché della scena di Uva al pronto soccorso è molto lunga. 
Ma anche gli orari di chi dice di ricordare, sono un po’ stretti. Secondo le indagini, Uva arrivò alle 5 e 41 e alle 5 e 48 fu registrato da Zanella al triage. Assunta Russo se ne andò alle 6 e 04. Dunque la scena che ha descritto si sarebbe svolta in 16 minuti e si sarebbe anche conclusa con una flebo di cui però sembra non ci sia traccia nelle cartelle cliniche, a quell’ora.

LA BARELLIERA: UVA DAVA TESTATE AL VETRO
Ma c’è un’altra testimone nuovamente interrogata in questa fase di inchiesta, Manuela Montalbano, un’operatrice del 118 che entrò nella caserma di via Saffi e poi fece con Uva il tragitto in ambulanza fino al triage del pronto soccorso. Sull’ipotesi del pestaggio in uno stanzino dell’ospedale la donna è in linea con il collega Zanella: Uva andò in bagno, e non in uno stanzino qualunque, e perché gli scappava la pipì. «Ha chiesto di essere accompagnato in bagno…ma è durato veramente poco». Nell’interrogatorio il pm chiede se qualcuno fece contro di lui atti contenitivi, alludendo a violenze o altro: «E’ sempre stato toccato solo per evitare che si facesse del male. Come l’episodio della barella prima (si riferisce al momento in cui venne soccorso dai carabinieri, ndr) nel momento in cui lui insultava non c’è stata dall’altra parte nessuna risposta in negativo». «Non ha mai detto a voi che è stato picchiato dai carabinieri?» chiede il pm. « No».
Inoltre, la testimonianza della Montalbano, come quelle dei medici Noubissiè e Obert che intervennero in caserma (il primo chiamato dai carabinieri alle 4 e 11, l’altro chiamato dal collega per il tso meno di un’ora dopo) avvalora invece la tesi dell’autolesionismo. Al suo arrivo in caserma la barelliera racconta questo: «Quello che mi ricordo io – afferma – è che si è aperta la porta (di una stanza della caserma dei carabinieri di via Saffi, ndr) ed è uscita questa persona. Noi all’inizio non sapevamo chi fosse, quindi è uscito urlando e si è proprio lanciato contro la parete di fronte. E anche sulla porta a vetri che c’è poco prima dell’uscita. Rimbalzava, era agitatissimo, ho avuto paura, e ho detto ‘adesso rompe il vetro e si fa male’…poi ha fatto le scale in maniera rovinosa, agli ultimi gradini è inciampato, e le persone che erano intorno a lui l’hanno aiutato a mettersi sulla barella».
Uva, prima di salire sull’ambulanza, era talmente agitato che minacciava tutti i presenti: «Ha minacciato me, ha minacciato i colleghi….nel senso che io, in quanto unica donna presente sul posto, sono stata presa un po’ di mira dal punto di vista femminile, mentre agli altri diceva: ‘io ti vengo prendere a casa tanto ci metto poco a sapere dove abiti’ e tutte queste cose qui…ma siamo abituati».
Infine, secondo la testimone, interrogata il 29 aprile scorso, Uva continuò à farsi del male anche in ambulanza e in ospedale. «Lui continuava a sbattere la testa sulla barella – racconta al pm – e abbiamo concordato con il collega di mettergli il collare giusto per evitare che si facesse del male. Quando siamo arrivati al triage dove poi c’è l’infermiera, è sceso e… stessa scena precedente. Ha sbattuto contro la porta che chiude la parte dove ci sono le barelle delle persone…».

IL RACCONTO DI ASSUNTA RUSSO

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Pubblicato il 20 Maggio 2014
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