Il CCR: «Satelliti per vegliare sul clima terrestre»

Sperimentata una nuova tecnica (Fapar) che consente di monitorare lo stato di salute del pianeta

A volte, quando accadono disastri naturali come alluvioni o grandi siccità, l’unica cosa che siamo in grado di sperare è che “qualcuno ci guardi dall’alto”. Forse gli scienziati del Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea hanno preso sul serio questa preghiera, e per questi motivi hanno permesso ai satelliti di vegliare sulla terra.

Non si tratta di una mania di onnipotenza, ma della realizzazione di una serie di algoritmi in grado di interpretare i dati trasmessi dai satelliti, al fine di stabilire, su basi scientificamente solide, l’impatto dei grandi fenomeni climatici. In particolare queste nuove tecniche sono in grado di estrapolare dalle immagini dei satelliti l’indice Fapar (Frazione di radiazione attiva fotosinteticamente assorbita), cioè l’indicatore dell’energia che la vegetazione ha assorbito dal sole e che è in grado di riemettere al fine di mantenere stabile l’equilibrio del nostro ecosistema. Le piante, infatti, sono come dei grandi serbatoi di energia per il nostro pianeta, che devono sempre essere in grado di riempirsi in caso di surplus e di svuotarsi in caso di deficit. Se l’indice Fapar è troppo alto, o troppo basso, la vegetazione terrestre non sarà in grado di mantenere stabile l’equilibrio climatico e, quindi, è fondato prevedere qualche calamità nel giro di alcuni mesi. Ad esempio, se questa tecnica fosse stata applicata qualche anno fa, sarebbe stato possibile avvertire con largo anticipo la grande siccità dell’estate del 2003, permettendo ai vari governi europei di prendere le dovute precauzioni di sicurezza.

Quindi si tratta di una scoperta che potrà avere un impatto immediato sulle nostre vite, ma anche dei vantaggi a lungo termine: infatti si potranno anche capire i meccanismi alla base dei cambiamenti climatici a lungo termine, consentendo di capire quali siano i veri rischi per il nostro pianeta e di prendere i provvedimenti internazionali determinanti. Questa tecnologia è stata sviluppata grazie al supporto dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea) e sarà sfruttata dall’Eea (Agenzia Europea dell’Ambiente). L’evidente importanza di questa innovazione ha consentito anche ad una giovane scienziata legata al progetto, Nadine Gobron, di vincere il prestigioso contributo scientifico come “Miglior giovane scienziato 2004” del Centro Comune di Ricerca.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Dicembre 2004
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