“La casa può aiutare a guarire”

La bioarchitettura inizia a diffondersi sul territorio. La sfida culturale raccontata da tre giovani architetti

Si sono conosciuti qualche anno fa ad un corso dell’Anab (Associazione nazionale architettura bioecologica) e da allora hanno deciso che le loro esistenze professionali avrebbero avuto un solo destino e un solo nome: “Ecoarch”. Una sigla contratta che mette insieme una passione, l’architettura, e una tensione etica nei confronti dell’ecologia. Cristina Mazzucchelli, Mauro Rivolta e Fulvio Miatello lavorano insieme in uno studio nel cuore di Varese, guarda caso nell’unica isola pedonale della città, in una corte antica, tutt’altro che sfarzosa, con tanto di stufa ecologica, pannelli isolanti di sughero per riparare dagli spifferi e caldi murales d’argilla. Dai finestroni dello studio si intravede un giardino un tempo ricco, oggi un po’ trasandato e nascosto allo sguardo dei tanti frettolosi passeggiatori di corso Matteotti.
(foto: in primo piano Fulvio Miatello, Cristina Mazzucchelli e Mauro Rivolta)

Appartengono a tre generazioni diverse, ma hanno tutti e tre la stessa consapevolezza. «Siamo arrivati a questa scelta dopo essere passati dall’architettura tradizionale – dice Mauro – quindi non spariamo a zero sul modo di costruire. È stato un percorso: inizi a seguire i grandi architetti del ‘900 e ad un certo punto ti chiedi se stai facendo bene il tuo lavoro».
«C’è un sentire comune verso l’ambiente – aggiunge Fulvio – . Non basta una sensibilità estetica, l’architettura deve essere corretta e rispettosa del territorio. Una casa va migliorata funzionalmente, solo così puo’ diventare un luogo dove ci si cura e non dove ci si ammala». Come dire: fare buona architettura, significa fare medicina preventiva.

Hanno scelto la bioarchitettura sapendo che è una scelta difficile: manca la sensibilità, la committenza non è preparata, non esiste una cultura diffusa tra i colleghi architetti, nonostante nell’ultimo convegno dell’Anab, alle Ville Ponti, ce n’erano almeno 300, con qualche geometra infiltrato. Loro non fanno gli snob, sanno di non essere i primi e per fortuna non saranno gli ultimi. È una scelta voluta. Un cambiamento di rotta, sapendo che l’unico modo per mantenerla è crederci.
«Ciò che fa la differenza  – spiega Cristina – è il tipo di lavoro che ti viene richiesto. Siamo in una fase in cui dobbiamo spiegare che un buon isolamento della casa fa risparmiare negli anni o che un certo materiale è salutare rispetto ad altri. Il ruolo del professionista è importante perché è lo strumento per l’affermazione di una cultura diversa. Lo stesso discorso vale per le imprese edili tradizionali che sono un po’ in difficoltà di fronte a certi discorsi. Allora il compito del progettista è anche quello di selezionare il mercato e orientarlo».

Oggi sorridono pensando ai corsi di quei professori universitari  “non allineati” e poco frequentati dagli studenti, attirati dai grandi nomi. Con il tempo hanno scoperto che la verità si nasconde all’evidenza, ai titoli e ai riflettori. Rogora, Compri, Dal Cin sono stati degli autentici pionieri di una architettura relegata ai margini. «Avere avuto un grande passato nell’arte – dice Fulvio – non mette al riparo dagli scempi del presente. L’Italia non ha più una grande architettura di base. Ci sono quei quattro nomi che vanno per la maggiore, ma manca una qualità diffusa tra gli architetti. Le novità, i progetti che faranno la differenza nella storia vengono dall’estero. E, purtroppo, i concorsi della committenza pubblica soffrono ancora per il clientelismo diffuso».

Una tesi emersa anche durante il convegno varesino e sostenuta dal professor Giancarlo Allen, che in quella sede ha sottolineato oltre la perdita di peso e ruolo dell’architettura, anche una emarginazione  della qualità nella committenza pubblica.

In genere la semplicità è il frutto di un percorso complesso e difficile e la bioarchitettura non fa eccezione. «La nostra ricerca – conclude Mauro – presuppone una semplificazione del progetto per concentrarsi sulle cose essenziali. La casa non deve essere una macchina e la semplificazione non puo’ limitarsi alla scelta dei materiali, ma deve servire a dare risposte alla complessità ambientale. Oggi certe scelte architettoniche creano voragini energetiche dai costi  esorbitanti e bisogna dire con chiarezza che chi fa quelle scelte non è un buon architetto. Questo vale per il grande, come per il piccolo progetto. Di fronte ad un budget limitato bisogna avere il coraggio di dire al committente che è meglio rinunciare alla vasca idromassaggio, ma  avere un pannello isolante in più».

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Pubblicato il 19 Febbraio 2005
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