Dal carcere un coro: “don Silvano non si tocca”

Il cappellano, nonchè parroco di Santa Croce, doveva essere trasferito ad altra sede ma resterà grazie alla mobilitazione generale a suo favore. Intanto, agosto dietro le sbarre resta un mese critico

Per lui è scattata una mobilitazione: la Curia ha dovuto fare dietrofront. Quasi un braccio di ferro, una sorta di "lotta per le investiture" fra amministrazione penitenziaria e gerarchie ecclesiatiche: invece di cambiare destinazione alla fine è rimasto dov’è, fra i suoi parrocchiani di Santa Croce e si suoi detenuti che segue come cappellano del carcere di via per Cassano. Don Silvano Brambilla, uomo pratico e schietto, conosce la virtù dell’umiltà e si schermisce: «Non si voleva creare un cambiamento nella situazione all’interno del penitenziario in un momento delicato, così si è fatta presente la situazione» riassume. Agenti, detenuti, volontari, direzione, ebbene sì un po’ tutti hanno chiesto che rimanesse. Una mobilitazione per una persona, prima che un sacerdote, che applicando il precetto cristiano di visitare i carcerati ha saputo guadagnarsi la stima e la benevolenza di tanti in un ambiente pur duro come quello di una prigione.

Quando gli chiediamo se agosto sia ancora un mese particolarmente difficile per chi si trova dietro le sbarre, il cappellano del carcere bustese conferma. «C’è il caldo, qualche volontario in meno per le ferie – ma devo dire che tanti ci sono comunque – ma soprattutto con agosto si fermano tutte le iniziative. Diventa difficile anche trovare un avvocato per chi si trova ad essere incarcerato in questo periodo». La solitudine di chi sta "fuori", si pensi a tanti anziani, si rispecchia paradossalmente in quella di chi sta dentro. Non avere nulla da fare, un obiettivo qualsiasi cui dedicare un altro giorno, per il carcerato è la morte civile: e la reclusione diviene pena crudele, contrariamente ai fini di recupero alla socialità che si pone, almeno in linea di principio, nell’ordinamento democratico.

C’è poi il problema del sovraffollamento, cronico (si legga questa protesta del marzo 2001…) ed ineliminabile in assenza di serie politiche di aumento dei posti nel sistema carcerario nazionale. «Siamo a circa 390 detenuti» dice don Silvano: di nuovo troppi, manco a dirlo. «Due anni fa con l’indulto erano usciti circa in 120, ma in meno di un anno la situazione è tornata quella solita». Non perchè qui si delinqua più che altrove, ma perchè Busto è un carcere "di passaggio" con un altissimo turnover: più che "lungodegenti" con sentenze definitive, qui si trovano soprattutto persone in attesa di processo o trasferimento. «Non pochi vengono scarcerati applicando le misure alternative al carcere (ad esempio i domiciliari); ma in tanti arrivano, specialmente da Malpensa (i corrieri della droga ndr)». Il tutto in circostanze che spingono persino gli agenti di custodia a manifestare apertamente la difficoltà di compiere il loro lavoro fra turni sfiancanti e straordinari, una situazione che non lascia troppi margini alla programmazione gestionale. E che da fare ci sia ancora e sempre tanto ce lo conferma don Silvano, quando si scusa e ci lascia, perchè, anche se stanco dopo il rientro dal pellegrinaggio a Lourdes, dietro le sbarre c’è chi ha bisogno di lui, cappellano in servizio permanente effettivo.

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Pubblicato il 06 Agosto 2008
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