Morte in mare, la difesa parla 9 ore: “Non ci sono prove”

Questa la tesi difensiva al processo in Corte d'Assise all'imprenditore-skipper Pietro Colombo, proposta dal suo avvocato Cesare Cicorella

Due visioni radicalmente diverse, due opzioni inconciliabili, due versioni incompatibili: il sospetto di un delitto perfetto contro il rischio dell’errore giudiziario. È battaglia aperta fra accusa e difesa al processo a carico di Pietro Colombo in corso a Busto Arsizio, anche oggi per nove ore di udienza-fiume. Di fronte alla corte d’assise, ai giudici togati e popolari, si scontrano tesi opposte emerse dalle nebbie di una notte greca: quella (in verità limpidissima) del 21 maggio 2004 quando Giuseppina Nicolini detta "Nicoletta" annegò cadendo in mare dal Delfino Bianco (foto), la barca a vela del suo compagno Colombo.

Un omicidio volontario secondo il pm Polizzi, ma anche secondo il legale di parte civile Stefano Putinati, rappresentante dell’anziana madre della donna, che cita il concetto di «delitto perfetto» secondo lui "quasi" perfetto. Un incidente fortuito, invece, dovuto a un eccesso di confidenza, seguito dalla persecuzione giudiziaria di un innocente, per l’avvocato Cesare Cicorella e il collega rappresentante dell’assicurazione della barca, avvocato Franco Rossi Galante. Quest’ultimo ha parlato di «totale assenza probatoria», dicendosi preoccupato in un simile quadro si possa giungere a chiedere 25 anni di carcere come fatto dal pm. Per il legale inoltre la mancata contestazione della premeditazione, pur in un quadro accusatorio che di fatto la presuppone, è la prova del nove della debolezza dell’accusa. Per il legale «il fatto non sussiste» e Colombo è «una vittima». Al contrario, Putinati (parte civile) parlava di «un patrimonio che fa gola» riguardo all’assicurazione reciproca da un milione di franchi svizzeri (circa 650.000 euro) stipulata con la Zurigo da Colombo e Nicolini. Una cifra che, insisteva il legale di parte civile, l’avrebbe reso definitivamente indipendente dalla moglie, con cui condivide il patrimonio. «Un’assicurazione così, per tutelare i figli? Non la bevo» dichiarava Putinati, parlando di «omicidio programmato» nel chiedere la condanna dell’imputato.

Per Rossi Galante nemmeno di indizi si può parlare, solo di sospetti. A tenere nascosta la polizza vita a Barbara Nicolini (la figlia della vittima) sarebbe stata la stessa madre, più che Colombo, il quale ne avrebbe fatto spontaneamente menzione alle autorità greche. L’avvocato ha cercato di smontare pezzo per pezzo le argomentazioni del pm, in particolare le incertezze sulla posizione del Delfino Bianco quella notte (giustificabili con correnti e moto ondoso, l’approssimazione delle misurazioni di velocità, la confusione del momento) e la dinamica dell’accaduto. Trovata senza pantaloni e scarpe, sganciata dal sommario sistema di sicurezza, la donna annegata potrebbe essersi avvicinata a bordo imbarcazione per vedere qualcosa, o, non hanno esitato a dire i legali, per un bisognino. Il mare era un olio, ma sarebbe scivolata in mare da sola, annegando trascinata a cinque nodi (circa 10 km/h) e legata a una cima di quindici metri, mentre Colombo dormiva. Conclusione: «la tesi dell’accusa non è provata» e richiesta di assoluzione perchè il fatto non sussiste.

La responsabilità di aver condotto a questo processo viene rigettata, da Cicorella, sulla figlia della vittima, che, sostiene l’avvocato, non avrebbe goduto della piena fiducia della madre in fatto di gestione di soldi, e soprattutto sulla società assicurativa presso la quale era stata stipulata la famosa polizza reciproca sulla vita: «è questa che ha messo in moto il meccanismo che ha condotto quest’uomo innocente sul banco degli imputati». E se il pm Polizzi puntava sulla personalità dell’imputato dipingendone un “lato oscuro” fatto di avidità e calcolo, così il suo avvocato ha insistito sull’esatto contrario. Per Cicorella quello tratteggiato dall’accusa è un «mostro», ma non certo la persona dell’imputato: e ricordava i vari testimoni, greci e non, che videro Pietro Colombo distrutto, in lacrime, nei giorni successivi alla tragedia.

Per il legale, anch’egli velista, la Nicolini sapeva eccome pilotare la barca («era stata al timone anche in una regata, dalla Liguria alla Grecia», benchè una volta proprio nelle acque care ad Ulisse fosse finita in secca per un colpo di sonno). Fra le contestazioni di Cicorella alla pubblica accusa quella di non aver colto a suo tempo – 2005 –  una richiesta di incidente probatorio della difesa, con Colombo disponibile a dire la sua verità, l’unica disponibile, «proseguendo invece con iniziative unilaterali», vedi l’esperimento giudiziario su una barca simile al Delfino Bianco, trattenuto in Grecia dalle autorità locali. Rigettate anche le illazioni sull’entità dei contatti di Colombo in Grecia e sulla loro pretesa capacità di influenzare in qualche modo lo svolgimento delle indagini, «tant’è che quest’autunno proprio i greci lo hanno fatto arrestare, una macchia indelebile su un uomo innocente».

Cicorella chiede quindi una “vera” perizia, «con tanto di contraddittorio», sulla barca teatro del dramma, e mette in dubbio la terzietà delle consulenze nautiche, ma anche della perizia medico-legale dell’accusa (affidata alla dott.ssa Cattaneo). In ogni caso, l’assenza di tracce biologiche sotto le unghie escluderebbe ogni colluttazione, e con questa ogni ipotesi violenta. Morte per annegamento, dunque. L’unica certezza, «insieme al calvario di Pietro Colombo, accusato di essere un assassino». Cicorella ha consegnato alla corte una nuova memoria difensiva: si riprende il prossimo 24 febbraio.

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Pubblicato il 21 Gennaio 2009
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