Quei certificati albanesi salva-clandestini

Sei vittima della faida del “kanun”? Il sindaco firma una carta da presentare al giudice in Italia. E’ successo a Varese. A Bari gli hanno dato ragione

Il kanun lo perseguita? Il giudice potrebbe dargli ragione. E sospendere l’espulsione. Perché è a rischio la sua vita e non si può rispedire in patria un uomo che sarà ammazzato. Rischio reale o scusa? Lo decide il magistrato. L’albanese clandestino che ha presentato a due giudici di Varese un certificato in cui afferma di essere vittima di faida (il kanun albanese), però, ha delle possibilità di vedersi riconosciuto il diritto a non essere rimpatriato. Esistono, infatti, dei precedenti in cui giudici di pace hanno accolto dei ricorsi presentati proprio da albanesi.
Di più: quello che stupisce è la “prova”, ovvero il certificato, che rilasciano alcuni sindaci albanesi, con tanto di timbro. E in cui si dice, nero su bianco, che è in atto una faida tra clan nel loro territorio e che il concittadino è in serio pericolo di vita. Un caso esemplare, è accaduto a Bari nel 2005, dove un giudice di pace accolse un ricorso di questo tipo legittimando, tra le altre, proprio la motivazione legata al pericolo generato dal “kanun”, il diritto consuetudinario tribale albanese che regola le vendette di sangue. Anche in quel caso, il giudice Giovanni Strippoli di Bari, scrisse che il ricorrente aveva documentato una situazione di pericolo dovuta alla «reviviscenza di un codice consuetudinario ancora attualmente vigente nel paese d’origine», con tanto di faida familiare che ne mette in pericolo la vita. Il certificato venne rilasciato dal sindaco del paese di Gremire, e diceva testualmente che l’uomo «non potrà uscire di casa per motivo di faida sanguinosa che ha travolto la famiglia». Come ha raccontato anche il fratello di Luan K, l’uomo comparso ieri davanti al giudice Angela Minerva (e che ha in atto un ricorso al giudice di pace di Varese), la casa è una sorta di porto franco che non può essere violato. Così, alcuni villaggi, decine di maschi si sottopongono a una sorta di arresto domiciliare volontario, per sfuggire alla faida. Sul “kanun” il giudice scrive: «E’ un antico codice di comportamento – si legge nella sentenza– il cui aspetto più terribile è costituito dall’obbligo di una famiglia di vendicarsi di un crimine subito, ammazzando un adulto maschio della famiglia antagonista».
Per questo, il giudice di Bari conclude che «anche se nel nostro paese può apparire inverosimile tale vicenda, la certificazione esibita è idonea a ingenerare il ragionevole dubbio che il ricorrente, per tale motivo, una volta rientrato in patria possa rischiare addirittura la propria vita». E così ha respinto l’espulsione.   

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Pubblicato il 10 Giugno 2008
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