Carlo, un uomo che dava serenità

In molti hanno voluto dare l'ultimo saluto a Carlo Chiodi nella Basilica di san Vittore. Il ricordo dell'amico don Fabio Baroncini

La Basilica di San Vittore e il sagrato erano pieni di gente. C’erano gli ultimi e c’erano i primi. I politici con i portaborse e i clochard con la borsa appresso. Quelli di sinistra e quelli di destra. Credenti e non credenti. I colleghi giornalisti e i compagni di scuola. Per l’ultimo saluto a Carlo Chiodi  nessuno voleva mancare. Tutti lì a testimoniare un’esistenza che è stata importante per la comunità varesina e non solo.
Una messa sobria, come era nel suo stile. I figli Andrea e Giovanni a portare la bara. La moglie Gisel e la sorella Rossana davanti a loro a dare forza. Volti sereni, come avrebbe voluto lui.
Carlo Chiodi ha lasciato un messaggio limpido a chi è rimasto: l’importanza dell’accoglienza e della lettura della realtà senza pregiudizi. Come ha ricordato nella sua omelia don Fabio Baroncini, amico di lunga data fin dai tempi del liceo Cairoli e di Gioventù studentesca. Il ricordo è andato a una cena di trent’anni prima a cui parteciparono don Giussani e Carlo. «Quando finimmo don Giussani mi disse di avere una attenzione particolare a quel ragazzo perché aveva due virtù: l’eutimia, la capacità di dare serenità, e l’apertura verso la realtà». 
Carlo quelle due virtù le praticava nella vita. Non drammatizzava mai, nemmeno durante la malattia. «Non lo vedevi mai arrabbiato, neanche quando perdeva il Milan. Era un uomo con carisma. Dietro i suoi baffi, fino all’ultimo, c’è stato un sorriso».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Aprile 2009
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