Dipendenti o imprenditori: “Gli stranieri fanno bene all’Italia”

Oltre cinquemila le imprese guidate da stranieri in provincia di Varese: una realtà che registra trend di crescita superiori alla media.

«Gli immigrati sono ponti lanciati verso altre nazioni, verso il mondo. Ci aiutano a posizionarci sullo scacchiere internazionale, dando un contributo a creare il commercio con l’estero». Franco Pittau è il curatore della ricerca di Caritas sull’imprenditoria straniera in Italia, fenomeno consistente ma poco conosciuto e riconosciuto cui è stato dedicato il primo appuntamento della settimana “I colori del mondo” promossa da Acli, comunità straniere della provincia e associazionismo locale. Pittau parla di numeri, ma guarda anche lontano, sottolineando anche le implicazioni sull’efficienza del sistema-Italia, soprattutto a livello internazionale. «Solo nel 2000 la legge sull’immigrazione ha dato la possibilità agli stranieri di aprire attività imprenditoriali: in otto anni ne sono state aperte 160mila, a cui vanno aggiunte 135mila cooperative e società amministrate da stranieri. Attività economiche che danno lavoro ai titolari e a circa 200mila dipendenti». Una realtà multiforme, fatta di imprese di edilizia, commercio, servizi. A volte professioni creative, tra industria e arte, come nel caso di Jozef Martini, imprenditore albanese intervenuto alla serata organizzata dalle Acli. «Il tasso di crescita – spiega Pittau – è in linea con le imprese italiane: ma mentre il “saldo” tra aperture e chiusure è per le imprese italiane quasi nullo (di fatto non ne nascono di nuove, ndr), quello delle imprese straniere è molto dinamico».

Gli immigrati aprono imprese e riescono a farle crescere nonostante le difficoltà. Un dato che viene confermato anche da Giulio Di Martino, dell’Associazione Artigiani di Varese: «Le imprese di extracomunitari nella nostra provincia sono 5664, l’8,26% del totale e registrano una crescita annua tra il 5 e il 15%, con un saldo sempre positivo. Oggi danno lavoro a 10mila addetti, su 70mila totali nelle attività artigianali». Naturalmente non mancano i problemi: l’insicurezza del permesso di soggiorno rende precaria la situazione degli imprenditori stranieri. L’accesso al credito, ad esempio, è difficoltoso, nonostante la forte propensione al risparmio degli immigrati. «Come Banca Etica – spiega Marco Di Giacomo, responsabile della filiale di Milano – rispondiamo con il microcredito: per noi non c’è differenza tra italiani e stranieri, non abbiamo un’attenzione particolare per gli immigrati (lo dico provocatoriamente). Valutiamo le persone e i loro progetti. Con ottimi risultati: il microcredito si è dimostrato remunerativo anche per le banche, visto che il tasso di rientro del prestito è molto alto». La necessità prima, però, è quella di assicurare l’inserimento iniziale degli stranieri, superando i problemi legati alla casa e alla lingua. «Il diritto di cittadinanza – spiega il rappresentante degli artigiani – non deve essere garantito né dall’imprenditore né dalla famiglia che assume una badante: su questo serve una politica di medio-lungo termine: i dati ci dicono che non è possibile non andare in questa direzione. Certo crediamo poco a come si sta agendo ora».

Il contributo del lavoro degli stranieri – imprenditori o dipendenti- sarà fondamentale a breve: «Entro il 2020 – spiega Pittau – i lavoratori tra i 18 e i 40 anni saranno 4 milioni in meno di oggi. E i lavoratori giovani sono il nerbo del settore produttivo di ogni Paese. Per questo abbiamo bisogno degli immigrati» aggiunge Franco Pittau. Il loro contributo, già oggi, è superiore a quello che ricevono, contrariamente a quello che ripetono le forze ostili all’immigrazione: «A fronte di una spesa diretta da parte dello Stato per 137 milioni, gli immigrati versano 4 miliardi di Euro di tasse, oltre ai contributi al sistema previdenziale».

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Pubblicato il 27 Maggio 2009
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