Spari contro il maresciallo: “Dissi ai bambini, buttatevi a terra!”

Testimonianza in aula della moglie del maresciallo di Porto Ceresio, nel processo contro gli spari alla caserma, iniziato davanti al tribunale




Fu uno choc,uno spavento terribile, una intimidazione feroce: la moglie del maresciallo Sambataro, il comandante della stazione di Porto Ceresio, quando ci pensa, ancora trema, e in aula, lo ha detto a chiare lettere. “Sentì un colpo e vidi la tenda che si muoveva nel punto in cui io, ero stata in piedi fino a pochi secondi prima. Dissi ai bambini di buttarsi a terra, e ancora oggi, al pensiero, ho i brividi”. Era alla finestra, quella sera, il 26 novembre del 2007. Aveva appena ritirato i panni dal balcone, aveva fatto due passi in casa, poi un botto, un sibilo, la tenda si era mossa, un proiettile era entrato in casa. L’accusa è tentato omicidio, per Gianluca Dattilo (altri imputati rispondono di reati connessi ma di minore gravità), imputato al processo in corso a Varese di fronte al tribunale (presidente Orazio Muscato), iniziato ieri proprio con la testimonianza della moglie del maresciallo chiamata a deporre dal pm Tiziano Masini.

Ed è proprio la posizione fisica della donna, quella sera, che sarà importante per capire se, l’accusa di tentato omicidio reggerà. Di certo, ci furono gli spari intimidatori, contro la caserma, e contro gli alloggi del maresciallo. Un uomo, Alan Capuano, è già stato condannato per quella scorribanda a 12 anni in abbreviato (di cui 7 anni e 8 mesi, per i soli spari alla caserma): ha sostenuto di aver solo accompagnato Dattilo, e che lo avrebbe aspettato in auto, mentre l’altro andava a sparare. E ovviamente ha anche dichiarato, in fase di indagine, che l’autore materiale fu proprio il suo amico. Il pm tenterà di ascoltarlo ancora. Ieri, intanto, ha ascoltato una donna che vide, quella sera, un’auto che faceva degli appostamenti, ma la teste non ha riconosciuto chiaramente l’imputato, in aula, dicendo che era buio, e che era poco visibile. E’ stato poi ascoltato il proprietario di una macchina rubata utilizzata per compiere gli agguati, e che ritrovò un bossolo nel sedile, all’atto della riconsegna da parte dei carabinieri che l’avevano rinvenuta il giorno successivo agli spari.

C’è stato poi un piccolo colpo di scena. Dattilo (che ha in ballo anche un processo per il tentato omicidio di uno spacciatore marocchino a Sesto Calende), dopo l’arresto, portò i carabinieri in un punto del lungolago, affermando che aveva saputo di una pistola, usata per sparare alla caserma, gettata da qualcuno proprio in quella zona. I sommozzatori ritrovarono una calibro 22, ma oggi si è appreso che non c’entrava nulla con l’agguato (compiuto con una 7 e 65). Rimane un dubbio: perché quell’avvertimento ai carabinieri? Il movente sarà spiegato in aula, dall’accusa, nelle prossime udienze: la procura ritiene che Dattilo fosse stato istigato dai buttafuori di alcune discoteche, allo scopo di  mandare un segnale ai carabinieri di Porto Ceresio, troppo attivi nell’indagare in quella direzione.




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Pubblicato il 15 Dicembre 2009
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