Tutto esaurito per il film “accusa” su Beppe Uva

Il testimone Bigioggero: “Mi dicevano frocio e comunista di m…”. La pellicola fa i nomi e mostra in video alcuni poliziotti coinvolti. Fila ai botteghini per entrare

«Non mi aspettavo tutta questa gente, vuol dire che la città di Varese sta seguendo con interesse questa vicenda». Ilaria Cucchi (sorella di Stefano, morto dopo un’assurda detenzione in carcere e Roma) è stupita, perché ieri sera il cinema teatro Nuovo di viale Mille era pieno, per ascoltare la storia di Beppe Uva, l’operaio morto a 43 anni, il 14 giugno del 2008, dopo esser stato prima fermato in caserma dai carabinieri, e poi trasportato in ospedale.

La vicenda in sintesi 

La prima varesina del docufilm «Nei secoli fedele» (il trailer) è un atto di accusa verso le forze dell’ordine, ed è scritto da Adriano Chiarelli. C’era la fila fuori dal cinema, e i posti pieni in sala. Hanno introdotto l’attore Moni Ovadia, che si è appassionato a questa vicenda, e Luigi Manconi, il presidente dell’associazione «A buon diritto», che da tempo sostiene questa battaglia. Il film inizia con la scena verità della riesumazione del cadavere di Beppe Uva nel cimitero di Caravate, voluta dal giudice Orazio Muscato durante il processo che si è celebrato nei mesi scorsi e che vedeva imputato uno psichiatra. Com’è noto la procura di Varese ritiene solo i medici responsabili per la morte di Uva, mentre la famiglia e il film ritengono invece che la colpa sia delle forze dell’ordine che lo tennero in custodia in caserma in via Saffi. Il documentario ha dunque questo filo logico: bisogna indagare sulla polizia e sui carabinieri. Da qui le testimonianze dell’avvocato Fabio Anselmo di Ferrara (lo stesso del caso Adrovandi), dell’avvocato Fabio Ambrosetti di Varese, ma anche gli amici di Beppe, con alcuni filmati inediti, che ci spiegano chi era questo ragazzo pieno di vita, senza ometterne anche gli sbagli e le debolezze. Il film picchia duro, perché il testimone Alberto Bigioggero, che quella notte era in caserma con Beppe (ma in una stanza diversa) racconta che sentiva le urla, afferma che lo stavano massacrando di botte, e che gli hanno detto «comunisti di merda…dopo tocca a te»; che lo hanno zittito e gli hanno ritirato il cellulare dopo che aveva chiamato l’ambulanza; o ancora che lo hanno chiamato «frocio». 

Alberto e Pino quella notte avevano bevuto e avevano transennato per gioco la via Dandolo: il film lamenta il fatto che Bigioggero non è stato mai interrogato e fa i nomi dei due carabinieri che prelevarono Uva dopo la bravata in strada. Non solo: durante il documentario passano in  flashback alcni scampoli di un convegno sulla sicurezza in cui parla dal palco un sindacalista di polizia di Varese. Non viene specificato il nome, ma è una persona nota agli addetti ai lavori,  e alla fine del film Bigioggero afferma: «Questo soggetto l’ho visto in caserma quella notte». Il film fa comparire anche l’avvocato dei carabinieri Luca Marsico, che ne difende l’operato, mentre il regista sceglie di inquadrare in contemporanea la sua collezione di soldatini militari. Compare anche l’avvocato varesino Marco Lacchin, per parlare di un’indagine sui carabinieri nei night club, che portò alla condanna delle forze dell’ordine. Indagine condotta proprio dal pm Agostino Abate, come ricorda l’avvocato Corrado Viazzo che difendeva alcuni proprietari di night (due sono stati intervistati con la faccia oscurata).
Le sorelle di Uva (ma non la madre e i genitori, che hanno scelto un altro avvocato) contestano il pm Abate perché nonostante in passato abbia indagato sui carabinieri, questa volta non crede alla loro colpevolezza. Il film riconosce che “Abate a Varese ha fatto la storia”, come afferma intervistata la collega Monica Terzaghi di Tele7laghi. Ma lo attacca quando i familiari affermano di non capire perché il pm si ostini a fare questa scelta processuale. O ancora quando l’avvocato Fabio Anselmo, nelle scene al limite della fiction in cui parla con Lucia (l’avvocato ha anche i piedi sul tavolo all’americana) spiega che, a suo dire, tutte le scelte volute da Abate sono state demolite dai periti e che ha sbagliato processo. Più tecnica, meno fluida ma doverosa, la parte sulle perizie, con le interviste ai medici: c’è il primario di psichiatria dottor Vender che ovviamente difende i suoi medici, ma anche il dottor Fineschi che elaborò per il giudice una perizia che rimise in discussione alcuni aspetti della morte di Uva.

Il senso finale del film è che manca la verità a questa vicenda: «Ma io non mi fermo – sbotta alla fine Lucia Uva – se non avete ancora capito, io non mi arrenderò mai, e devo dire grazie a tutte queste persone che stanno facendo questo cammino con me, come Ilaria Cucchi e Domenica Ferulli, ma anche i mie avvocati, il professor Manconi, Moni Ovadia, e Amnesty International». Luigi Manconi aveva aperto la serata con questa frase. «Noi siamo qui stasera per restituire la dignità a Giuseppe Uva».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Ottobre 2012
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