Il simbolo paradossale di una guerra immane

La Linea Cadorna oggi serve da spunto di riflessione per passeggiate o digressioni sotriche. Un tempo costituì la "difesa nord" del paese in caso di attacco austro ungarico

linea cadornaEd eccola. Poderosa e immersa in un silenzio immenso. La nostra fetta di eredità di quella immane tragedia che fu la prima guerra mondiale, si chiama linea Cadorna.
Un insieme di fortificazioni lunghe 72 chilometri, scavate tra le montagne che vanno dalla Valle d’Aosta alle Prealpi lombarde, eretta per sorvegliare il confine con la Svizzera. Una possente opera di ingegneria militare che è allo stesso tempo simbolo di forza e testimonianza di un’epoca.
Da questo lato della fortificazione, a Cassano Valcuvia, il muschio ha ricoperto gran parte delle mura che dovevano proteggere i soldati dal fuoco nemico, ma i sentieri sono mantenuti puliti dai volontari che tengono viva la memoria di questi luoghi.
Oltre all’opprimente senso di claustrofobia che i budelli di calcestruzzo trasmettono, la sensazione guardando in faccia il confine, è che qui chi superava il metro e ottanta giocava con la propria sorte. Ma era un’altra epoca. L’altezza, così come l’allungamento della vita media, erano ancora un miraggio e quello che gli antropologi definiscono secular trend, era di là da venire.
I soldati del Regno non erano altro che contadini, braccianti, operai, spesso analfabeti, quasi sempre abituati alla fame e alla miseria. Diverso il discorso per gli ufficiali. Figli di una borghesia e di un’aristocrazia intrisa di ideali e valori risorgimentali, rappresentavano una minoranza della popolazione, ma influente e determinata.
La linea prende il nome proprio da uno di questi influenti borghesi: Luigi Cadorna.
Nato a una ventina di chilometri dal punto in cui mi trovo, a Verbania, Cadorna era figlio d’arte, suo padre Raffaele, aveva combattuto nelle guerre d’indipendenza, trasmettendo al figlio un orgoglioso disprezzo verso il nemico austriaco.

linea cadornaDopo una brillante carriera militare, nel 1911 Cadorna disprezzava ancora gli austriaci (se poi questa avversione sconfinasse nella paranoico non è dato saperlo) ma lo faceva da Capo di Stato Maggiore.

Con i lustrini al petto decise così di rispolverare un progetto imponente: la fortificazione della frontiera Nord.
 Una linea di difesa, pensata all’indomani dell’Unità d’Italia, che doveva proteggere i confini da un’invasione austroungarica dal lato Svizzero. Successiva quindi a una preliminare invasione della Svizzera da parte degli austriaci.
Un’opzione che già ai tempi di Umberto I aveva mosso a perplessità più di un generale. La destinazione del progetto era stata quindi, un cassetto del Genio civile. Almeno fino all’arrivo di Luigi Cadorna.
I lavori della trincea iniziarono nel 1911, scatenando il terrore degli elvetici che a loro volta iniziarono a fortificare i loro confini con l’orrendo dubbio di un’imminente, ma improbabile, invasione italiana verso l’Austria. 
L’opera costò l’equivalente di 150 milioni di euro. Una linea teoricamente "impenetrabile" lunga 72 km, dotata di 88 appostamenti per batterie, di cui 11 in caverna, 25.000 mq di baraccamenti, 296 km di camionabile e 398 di mulattiere.
 Uno sforzo che, oltre al lavoro di centinaia di uomini, vide l’impiego anche di ragazzini sotto i 15 anni d’età e donne fino ai 60.
Anche grazie al loro lavoro, allo scoppio della Grande Guerra, la fortificazione era pronta. Un’opera "innovativa per cui furono abbandonati i presidi isolati, vulnerabili ai grossi calibri, a favore di cupole corazzate in acciaio, opere campali semi-permanenti, postazioni in barbetta per mortai, obici e cannoni, e postazioni in caverna per mitragliatrice e artiglierie di medio calibro. Furono progettati nidi per mitragliatrice, dato il largo utilizzo di questa nuova arma usata durante il primo conflitto mondiale, nidi sistemati in modo tale da assicurare un tiro coordinato in grado di battere aeree estese e proteggersi a vicenda”.
Un’opera che, come la Fortezza Bastiani per Giovanni Drogo, non venne mai utilizzata durante la Prima guerra mondiale, mentre durante la Seconda proprio qui si combattè uno dei primi episodi della Resistenza italiana, la battaglia di San Martino. L’improbabile invasione dal fronte svizzero non si verificò mai. Oggi la linea Cadorna è un sentiero della pace, lo chiamano così. Qualcuno la domenica ci viene a camminare, altri si divertono a giocarci dentro, sparacchiandosi pallini colorati su tute mimetiche. Per noi, altro non è, se non il simbolo paradossale di una guerra immane che, almeno qui, non si combatté mai.

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Pubblicato il 27 Giugno 2014
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