Quando il lavoro ti salva. La realtà dei detenuti di Busto

Successo per la serata dedicata alla casa circondariale bustocca. Presentato il corto “Via per Cassano 102”

«In carcere ho la fortuna di lavorare». Inizia così il cortometraggio che ieri sera – giovedì 18 settembre – ha aperto l’evento dedicato al carcere di Busto Arsizio. In una piazza Santa Maria affollata, con persone che sono rimaste anche in piedi, gli spettatori hanno potuto vedere il bel video girato a luglio 2008 da Massimo Lazzaroni (a sinistra) e Mauro Colombo (a destra) “Via per Cassano 102”. L’idea, partita già alcuni mesi dalla Commissione Servizi Sociali di Busto, era quella di organizzare una serata per parlare del ruolo carcere sul territorio comunale. A dibattere sono quindi stati alcuni esponenti di tutte le realtà coinvolte in questo processo. ”Grandi assenti” – in parte anche per motivi burocratici – i detenuti stessi. Ma la lacuna è stata colmata, in piccola parte, dal corto che mostra in pochi minuti una “giornata tipo” raccontata da persone che in carcere vivono da anni e che nel lavoro hanno trovato «una mezza libertà», come racconta Roman. Ecco allora che quando la cella si apre al mattino presto inizia la giornata di Marco, cuoco dell’istituto, che spiega che «io fuori ho sempre lavorato. Quando sono arrivato qui, i primi tempi non avevo niente da fare e la testa andava per i fatti suoi. Avevo toccato il fondo. Il lavoro invece ti permette non solo di essere impegnato, ma di guadagnare anche qualcosa per te e la tua famiglia». E proprio la famiglia è il pensiero più bello, ma anche più doloroso per i detenuti. «Mio figlio è nato quando ero già qui dentro: non l’ho mai visto». «Non so come fai a resistere: i miei vengono a trovarmi spesso, le loro visite per me sono importantissime». Così chiacchierano due detenuti mentre ”passeggiano” avanti e indietro per il piccolo sportivo.

«La speranza è la forza queste persone – spiega il direttore del carcere Salvatore Nastasia -. Non solo quella “naturale” di riacquistare la libertà, ma a anche quella di riuscire a reinserirsi in una vita familiare e sociale. È per questo che noi operatori siamo li». Insieme a loro ci sono gli agenti di Polizia Penitenziaria (P. P.) che hanno «secondo la Costituzione una duplice funzione – chiarisce Michela Cangiano, commissario di  P.P. della Casa Circondariale -: di controllo e prevenzione, ma anche di rieducazione. Nel carcere bustocco non ci sono persone con alto profilo criminale, ma emarginati. Più della metà della popolazione carceraria è formata da stranieri: il carcere è la prima istituzione italiana che conoscono e noi le prime persone che incontrano». Come tanti altri istituti in Italia, quello bustocco è sovraffollato: più di 400 persone in un luogo che può contenerne 290. Il pensiero quindi va subito a come affrontare queste problematiche, dato che come sottolinea anche Cangiano un detenuto ha un costo molto alto: più di 200 euro al giorno. «Esistono delle misure alternative – spiega Anna Savio assistente sociale – pensate per coloro che per legge hanno i requisiti per scontare la pena o parte all’esterno, con restrizione precise. Il territorio di Busto non dà sempre risposte negative, è collaborativi e ci ha sostenuto in vari progetti. Ma c’è un grosso problema: mancano le risorse». È quindi anche a percorsi alternativi e di riabilitazione che bisogna guardare. «È necessario dare la massima priorità alla formazione e al lavoro – puntualizza Francesco Maresca, referente del settore lavoro della provincia di Varese -: in realtà è un’opportunità che circa il 10 per cento dei detenuti. Noi stiamo lavorando per cercare di collocare ex detenuti in aziende, non in cooperative sociali: non è facile, ma neanche impossibile».  In questo, collaborano attivamente con gli operatori del progetto Agenti di rete della cooperativa Sol.Co. .«Il nostro ruolo – spiega Sabrina Gaiera, che lavora insieme a Sergio Preite – è quello di tessere relazioni introno al detenuto o ex detenuto per favorire il suo reinserimento e promuovere la sua persona. Mettersi in contatto con il territorio e le varie realtà significa costruire percorsi di libertà». Insomma, è la “persona” al centro di tutto. «Per noi – spiega il cappellano don Silvano Brambillasca – esistono le persone con cui creare legami. Li aiutiamo a trovare la voglia di conoscere loro stessi e a riscoprire l’altro, sia i compagni in cella che le persone che sono a casa. Non è facile per i detenuti, ma è importante provarci». 
Cosa succederà quindi domani, dopo questo evento? «Abbiamo ricevuto spunti toccanti – conclude l’assessore ai servizi sociale Luigi Chierichetti -. C’è ad esempio la questione delle risorse economiche scarse, ma vorrei mettere in evidenza il ruolo della risorse umane, i volontari che anche nel gran caso dell’indulto sono stati fondamentali».

Ma è proprio una volontaria, seduta accanto a me durante la serata, che mi pone però una questione non da poco. «Qui, stasera, hanno parlato tutti degli aspetti belli del carcere di Busto. E dei tanti problemi che ci sono non ha parlato nessuno».

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Pubblicato il 19 Settembre 2008
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