Ex Casa del Popolo, “il Comune può ancora evitare l’abbattimento”

L'architetto Paolo Torresan aveva stilato un progetto di recupero per Agesp una decina d'anni fa, poi l'immobile fu venduto a un privato. "Di questo passo, potremmo radere al suolo anche il Colosseo..."

Sulla questione della ex Casa del Popolo di via dei Mille, edificio storico con più d’un secolo di vita alle spalle, destinato ad essere rimpiazzata da residenze, interviene un professionista che qualche conoscenza sull’edificio l’avea: l’architetto Paolo Torresan. Era di suo pugno un progetto di recupero che una decina d’anni fa gli fu affidato da Agesp, allora intenzionata, rilevando l’immobile dal Comune, a farne una sede per uffici. Non se ne fece nulla, l’ex Casa del Popolo è stata venduta ad un privato che dovrebbe realizzarvi residenze, con il beneplacito dell’amministrazione comunale. Scelta legittima, ma è opportuna? Se lo chiedono alcuni cittadini bustocchi, professionisti e intellettuali che hanno scritto alle competenti autorità per richiedere, al contrario, di salvaguardare una testimonianza storica di un momento importante della città. Parliamo di quella svolta verso la modernità che avvenne prepotentemente fra Otto e Novecento, nel segno dell’industria e di quella ferrovia Nord che, da poco realizzata, correva proprio a due passi, mentre oggi è da quasi vent’anni interrata.
«Quando ai tempi realizzai questo progetto di recupero (in basso uno dei disegni ndr), una prima valutazione che venne fatta con Agesp, con Marco Reguzzoni allora a capo della Holding (oggi capogruppo leghista alla Camera ndr), era stata positiva». Il seguito, però, è mancato. «Devo dire, per la conoscenza che ho dell’edificio, che la struttura è solida, parliamo di mattoni pieni, finiture e materiali che per l’epoca erano buoni. A mio parere si poteva conservare in buona parte, inclusi il teatro, la parte strutturale, il sottotetto che poteva essere recuperato. Non sarebbe stato impossibile. L’orientamento di Agesp allora era di demolire il teatro per ricavarvi un parcheggio; io mi espressi in senso contrario, i posti auto si potevano ricavare altrove nelle vicinanze» ricorda l’architetto, cui l’idea di veder abbattere tutto un domani proprio non va a genio. «L’edificio è dignitoso, non vedo perchè fare così: a questa stregua, se ogni stabile un po’ malandato venisse abbattuto, potremmo radere al suolo anche il Colosseo, perchè no?» ironizza, più che sul caso specifico, su una tendenza alla sostituzione integrale dei tessuti urbani degradati. Potremmo citare ad esempio, in centro città, il piano Soceba, non correlato alla vicenda di via dei Mille: gran parte dell’area tra via Solferino e piazza Vittorio Emanuele II è stata spianata, "aprendo" laddove per secoli e secoli vi era stato un fitto edificato tra i più antichi della città, da tempo in stato di degrado. Anche lì, lo scopo è rinnovare: conservando la pianta e, suppergiù, i volumi esistenti, ricostruire, a scopo commerciale e residenziale. I due casi sono distinti, ma emblematici della problematica del "che fare" con zone soggette ad abbandono. Il recupero integrale viene spesso visto come non conveniente: meglio abbattere e ricostruire. Torresan non concorda con questa impostazione. «Nuovo o vecchio, il costo più o meno è lo stesso. Anzi nel caso della Casa del Popolo ristrutturare potrebbe costare meno» sostiene. «Piacerebbe veder salvare l’edificio per la facciata che caratterizza la via dei Mille, per la storicità legata al mondo del lavoro, che comunque ha una zona che ospitava in passato anche il Cral dell’Enel; ma anche perchè il teatro interno potrebbe tornare utile a gruppi e compagnie che oggi si trovano in difficoltà per gli spazi. Per fare un esempio, guardate a Milano il lavoro di recupero che è stato svolto sulla Fabbrica del Vapore, nella zona del Monumentale». Altra realtà, altre disponibilità, si dirà. Lì il Comune ha optato nel senso del recupero; qui ha ceduto al gruppo Agesp, che a sua volta ha venduto. E quanto ad altri immobili storici, la situazione non è sempre delle migliori: per Villa Calcaterra, ci sono voluti una quindicina d’anni per fare qualcosa; il Calzaturificio Borri dopo una decina d’anni è ancora in alto mare, con la maggioranza che si scontra su ipotesi diverse per l’utilizzo. «L’area di via dei Mille ha una sua rilevanza urbanistica» osserva Torresan, «vicina com’è al teatro Sociale» e ai quei progetti di rilancio dell’area delle Nord che anche qui giacciono per ora nei cassetti. «Secondo me il Comune è ancora in tempo a tornare sui suoi passi, intendo senza litigare con chi ha acquistato e ha legittimi interessi, ma venendosi incontro sulle modalità d’intervento. C’è una commissione edilizia, segua la questione: qui siamo in un momento delicato, tra un piano regolatore ormai allo sfacelo e un PGT ancora da adottare. Da professionista non ho più interessi nella questione; ma da cittadino mi piacerebbe veder salvaguardare l’edificio con i suoi aspetti storici ed estetici, pur senza negare un uso abitativo. Occorre, forse, un po’ d’inventiva».
Gli architetti, si sa, oltre a conoscere la loro città come pochi, per averci messo mano di persona, sono spesso cultori di storia locale. E così anche un altro professionista come Augusto Spada, esperto della Busto che fu in tema di espansione urbana e aspetto dell’abitato, ci segnala infine che nella guida "Conoscere la città / Getting to know the city of Busto Arsizio", pubblicata dal Comune, la Casa del Popolo/Cooperativa Edificatrice è inserita (a pagina 81 nell’edizione 2004, a pagina 90 nell’edizione 2010) "tra gli edifici di interesse storico-architettonico più importanti della città". Non si capisce dunque, è il sottinteso, perchè rinunciarvi in modo così netto e drastico.

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L’ex Casa del Popolo di Busto 4 di 6
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Pubblicato il 23 Dicembre 2010
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