Non c’è kanun che tenga, albanese respinto dal giudice

La certificazione con cui un clandestino dichiara di essere vittima di faida non vale nulla

Poco verisimile e non attendibile. La certificazione con cui un clandestino albanese dichiara di essere vittima di faida non vale nulla. Lo dice il giudice di pace di Varese, Risario Ciccolo, che ha respinto il ricorso presentato da Luan Kola, un ragazzo di 24 anni albanese. L’uomo aveva presentato un certificato del sindaco del suo paese, nella regione di Kruje, a nord di Tirana. Dove si diceva che se fosse tornato al suo pese avrebbe corso il rischio di essere ammazzato. A causa di una vendetta di sangue. Un certificato salva-clandestini che, in altre occasioni, alcuni giudici di pace hanno considerato verosimile. E in grado di provare un reale pericolo di vita. A Varese, non è andata così. Quel documento non è attendibile per una serie di ragioni logiche. Il giudice scrive, nella sentenza, che sarebbe interessante sapere quanto il sindaco sia a conoscenza della reale situazione dei familiari dell’uomo (che secondo il certificato sono chiusi in casa per evitare la vendetta). Ma non solo: esclude che il kanun sia un sistema riconosciuto: «più che un sistema vigente presenta probabilmente applicazione residuale in frange retrograde refrattarie alle spinte progressive che certi strumenti oggi diffusi veicolano anche nelle zone isolate». Inoltre, Tirana e Kruje non sono lontane. Quindi: non c’è pericolo riconosciuto.
Il ricorso faceva anche riferimento al fatto che il primo foglio di via non fosse scritto in albanese, ma il giudice ha ricordato che l’uomo era in Italia da due anni e doveva conoscere la lingua. Ma anche che in Albania è captabile la tv italiana, lasciando intendere, insomma,  che grazie alla Rai, gli albanesi sanno l’italiano. Il 26 giugno, l’uomo tornerà in tribunale, dove lo attende il processo penale per non aver ottemperato all’obbligo di lasciare l’Italia: ripeterà le sue motivazioni.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Giugno 2008
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