Dal carcere alla pista di atletica, storia di un allenatore “speciale”
Da aprile a giugno un atleta professionista detenuto nell’istituto bustocco ha allenato un gruppo di ragazzi della Uisp di Varese
Come abbiamo già fatto in passato, vi proponiamo un articolo scritto da una persona detenuta nella Casa Circondariale di Busto Arsizio e membro della redazione di Mezzo Busto. L’articolo è stato scritto in giugno, quando Chaka Zulu svolgeva la sua attività di allenatore.
Essere “dentro” non significa dimenticarsi di ciò che si è stati “fuori” e della propria vita. È importante, nel limite del possibile, mantenere anche qui le proprie abitudini e coltivare i propri interessi. Per me, atleta a livello professionale, è però difficile potermi allenare in carcere. Ma, mai come in questo caso, si può dire che la speranza è l’ultima a morire. Grazie a Sabrina Gaiera, Agente di rete, Rita Gaeta e Teresa Pignataro dell’area educativa e Alessandra Pessina di Uisp Varese, il “sogno” è diventato realtà. Oggi infatti due volte al mese posso uscire e andare a Varese ad allenare un gruppo di giovani.
Ma andiamo con ordine e ripercorriamo il cammino che mi ha portato fin qui. Qualche mese fa, nell’ambito del mio percorso rieducativo all’interno del carcere, Sabrina e l’area educativa hanno iniziato a riflettere su quelli che potevano essere gli sbocchi migliori per me. Da subito il pensiero è corso alle mie capacità atletiche e alla possibilità di allenarmi, ma soprattutto di allenare. In passato avevo già avuto qualche esperienza di questo tipo quando, a causa di un infortunio, mi ero dovuto fermare temporaneamente e quando ho lavorato in una palestra. È stata un’occasione interessante e importante dal punto di vista sportivo, ma soprattutto umano. Dà un senso di soddisfazione personale vedere gli atleti – o persone “normali”, non professioniste – crescere e migliorare grazie anche al tuo lavoro. La vera svolta è stata però la maratona “Fuggi, fuggi” che si è svolta in dicembre nella Casa circondariale. Alessandra e Sabrina mi hanno subito coinvolto non solo come partecipante, ma anche come “esperto” e mi hanno chiesto di fornire qualche consiglio agli altri partecipanti su come prepararsi al meglio. Dopo la gara è nata l’idea di continuare su questa strada sia per allenarmi che per trasmettere le mie conoscenze. Grazie alla collaborazione del carcere, della Uisp e alla decisione positiva del Magistrato di sorveglianza Rossella Ferrazzi oggi sono un “allenatore”.
La mia prima lezione si è svolta il 24 aprile alla pista di atletica di Calcinate a Varese. Davanti a me c’erano una decina di ragazzi fra i 17 e i 20 anni. Per me è stato davvero emozionante e credo anche per loro che non avevano mai avuto l’occasione di lavorare con un atleta professionista. Da parte mia, devo essere sincero, non c’era agitazione perché da sempre mi è facile rapportarmi con le altre persone e infatti non vedevo l’ora di vivere questa nuova opportunità. Con i ragazzi abbiamo legato da subito: ci siamo presentati, ho chiesto le loro aspettative da questo incontro e ho spiegato che, a qualsiasi età ma soprattutto da giovani, è importante lavorare sul proprio fisico per stare anche meglio con se stessi. Loro hanno colto l’importanza di questo aspetto e infatti hanno anche deciso, senza che io glielo avessi chiesto, di dotarsi dell’abbigliamento adeguato all’allenamento che consiste in esercizi vari. Nel corso delle lezioni siamo riusciti a costruire un buon rapporto basato sulla fiducia, ma anche sul divertimento. Basta pensare a quanto mi ha reso felice vedere che il gruppo aumentava di volta in volta perché i ragazzi avevano coinvolto anche loro amici.
Per quanto però tutto questo sia importante per questi ragazzi, per me lo è ancora di più. Dopo essere stato fermo per tanto tempo, questa opportunità mi ha ridato la possibilità di fare quello che mi piace più di tutto. Lavorando con loro, mi sto allenando anche io perché sono curiosi di vedere quello che sono in grado di fare. I ragazzi mi hanno caricato con il loro entusiasmo e mi hanno spinto a dare il meglio di me. Con mia grande sorpresa ho potuto constatare che la mia prestazione era ancora al livello di quella che avevo quando mi allenavo quotidianamente. Tutto ciò mi ha ridato certezza e fiducia: credo che questo sia un buon successo per un percorso rieducativo. Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questa esperienza e soprattutto “i miei atleti”.
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